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LA VITA DI ADELE regia di Abdellatif Kechiche

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Invia una mail all'autore del commento LukeMC67     9 / 10  09/12/2013 02:39:53Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Gli occhi, la bocca.
Il riferimento bellocchiano alla stupefacente interpretazione di Léa Seydoux e soprattutto a quella di Adèle Exarchopoulos non è casuale perché entrambe recitano principalmente con questi due organi e mi permette di affrontare subito la questione che più ha suscitato polemiche e riserve su questo film: le lunghe e insistite scene di sesso tra le protagoniste. Premesso che a me non hanno infastidito affatto, esse sono molto ben congeniali a due concetti che il regista ha voluto mostrare con forza: la centralità adolescenziale della fisicità nel rapporto passional-esplorativo vissuto dalle due, e in particolare da Adele, contrapposta alla distanza siderale che si scava tra loro dal momento del distacco da Emma e della crescita di Adele stessa. La devastante separazione, infatti, non avrebbe potuto risultare così definitiva e così carica di significati simbolici legati al passaggio all'età adulta di Adele senza aver mostrato con quell'intensità inusitata il sesso tra le protagoniste. Che, sia detto per inciso, non aveva proprio nulla di voyeuristico.
Perché Bellocchio, allora? Qualcuno ricorda la scena dell'amplesso ne "Il diavolo in corpo"? Ebbene, pure in quel caso (lo stesso fece Malle ne "Il danno" e in "Soffio al cuore"), Bellocchio pretese dagli attori di girare in tempo reale il loro amplesso, proprio a sfidare lo spettatore nel naturalismo più spinto ed estremo nel mostrare il sesso al cinema. Con la stessa efficacia, direi.
Liquidata questa "pratica", cerco di parlare dell'intero film.
Dico "cerco" perché mi è estremamente difficile poter scrivere di una pellicola che mi ha indotto un processo di totale identificazione emotiva col personaggio di Emma.
Dico "cerco" perché l'ho visto con la mia 17enne nipotina prediletta che, a sua volta, ha subìto un processo identificativo perfetto nel personaggio di Adele.
E perché per tutte e 3 le ore di proiezione non ho fatto che rivivere sulla mia pelle tutti gli stati d'animo e le situazioni dei miei amori più passionali, a cominciare dal primo.
Qui c'è già una vittoria completa di Kechiche che è riuscito a confezionare una storia che trascende generi e gusti sessuali per parlare direttamente di sentimenti, di passionalità e del farsi male nel crescere. La natura bisessuale di Adele mostra in tutta la sua potenza quanto Eros "colpisca" noi tutt* in quanto persone, prescindendo dalle barriere cultural-sociali che gli abbiamo costruito intorno per (tentare di) ingabbiarlo.
E l'ulteriore vittoria sta nel fatto che le 3 ore di proiezione passano senza il minimo calo di intensità emotiva e quindi di attenzione.
L'unico accenno alla specificità dell'amore lesbico sta nell'atteggiamento distante che Adele mantiene da chi la circonda (famiglia e amiche/amici in primis) provocando così un ulteriore disequilibrio nel suo rapporto amoroso con l'accettatissima, adulta Emma

Nascondi/Visualizza lo SPOILER SPOILER. Disequilibrio che deriva anche da una differenza di classe sociale che si esplicita sempre più nel dipanarsi della vicenda.
Perché se "La vita di Adele" non è un capolavoro (Palma d'Oro comunque meritatissima, beninteso), di certo è uno dei migliori film sull'adolescenza che siano mai stati girati. Di tale intensità (anche fisica) mi viene in mente solo "Les Roseaux Sauvages" di André Téchiné.
Adele, praticamente sempre "fuori luogo" ovunque si trovi anche a causa della sua relativa semplicità e ingenuità culturale, vive le sue emozioni con incoscienza adolescenziale in pieno, buttandosi a capofitto e lasciandosene trasportare fino in fondo. L'incontro "fatale" con Emma le si ritorcerà contro proprio quando questa pretenderà di passare a una condivisione più mentale e spirituale (e quindi più matura), non contentandosi più di una mera sintonia fisica e istintuale.
Ma Adele non è pronta a superare la sua fisicità "animale" e non riesce ad aprirsi agli/alle altri/e veramente. Per questo la sua passione troncata resta intatta negli anni mentre Emma evolve, cedendo ai compromessi (inevitabili) della vita e legandosi definitivamente alla nuova compagna, sublimando nei quadri le sue pulsioni fisiche verso Adele.
Il finale aperto che ci dà Kechiche è l'unico possibile: o Adele crescerà, o sarà destinata all'insoddisfazione perenne, non c'è via di scampo (condizione oggi ben diffusa tra uomini e donne di ogni età e di ogni orientamento sessuale).
La cinepresa di Kechiche è incollata ai volti e alle silhouettes delle protagoniste e si guarda intorno solo se indispensabile, fugacemente. La fotografia contiene molto blu, quel blu del titolo della graphic novel alla quale si ispira questo film (comunque molto diversa: leggerla per credere). Il montaggio, sincopato e incalzante, non lascia sfuggire alcun dettaglio alla vicenda narrata (sceneggiatura solidissima, script di ferro!). L'unità di tempo è totalmente centrata su quella interiore di Adele: capiamo quanto tempo oggettivo passa solo dalle sue trasformazioni fisiche (un complimento al trucco) e comportamentali, per il resto il regista ci fornisce solo dei tratteggi.

All'uscita dalla sala, passata la sorpresa per quel che il film suscita, duole solo constatare la distanza siderale tra la visione multiculturale e pansessuale del franco-tunisino Kechiche rispetto alla nostra arretratezza italica: se anche da noi gli artisti cominciassero ad affrontare il tema della sessualità e del crescere in una società complessa come la nostra con questa apertura, chissà che non si riuscirebbe a evolvere socialmente...