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IL SILENZIO regia di Ingmar Bergman

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amterme63     8 / 10  09/12/2010 22:59:59Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Un film decisamente difficile, in un certo senso anche estremo, di una lentezza a volte esasperante. Come in "Luci d'inverno", anche qui occorre avere una certa predisposizione per i temi riflessivi e filosofici.
In genere si suole classificare questo film come facente parte della trilogia dedicata all'essenza della divinità (alla sua presunta presenza o assenza e al modo con cui si esprime). In realtà qui di Dìo proprio non si parla e l'argomento entra solo di riflesso, non in maniera diretta. Nel "Silenzio" infatti non ci sono argomenti astratti o metafisici, il tema è più concretamente la solitudine, l'incomunicabilità, il dolore di vivere, la tortura della morte.
Bergman dimostra poi molto coraggio perché decide di mettersi in gioco, provando un approccio diverso da quello che ha quasi sempre usato. E' vero che in questo film viene mantenuto inalterato l'impianto teatrale con i personaggi ridotti all'osso; solo che non si punta più sul dialogo, sulla spiegazione dei sentimenti. L'approccio è invece l'opposto: per tutto il film domina un silenzio a volte imbarazzante; gli atti, i luoghi, le scene si susseguono senza alcuna spiegazione; non sappiamo perché le due donne e il bambino si trovino su quel treno, da dove vengano e dove stiano andando. Si fermano in un albergo di una città in un paese francamente misterioso, forse inesistente. Le parole vengono dosate con il contagocce e alla fine si verrà a sapere comunque pochissimo sui personaggi.
In compenso abbondano i simboli, i richiami metaforici, le azioni rilevatrici di ogni tipo, anche di genere scabroso (il film ha subito censure). I movimenti di macchina, i lati di ripresa, la disposizione dei personaggi nelle inquadrature fanno poi il resto. Insomma, la grande sapienza artistica di Bergman si rivela decisiva anche nei progetti più arditi e riesce a far digerire qualcosa di assolutamente ostico.

Solo verso la metà del film si delinea con precisione il contesto in cui si muovono le due sorelle Ester e Anna, accompagnate dal piccolo Johan, figlio di Anna. Ester (un'altra interpretazione maiuscola di Ingrid Thulin) è malata, sta per morire. E' una persona profondamente chiusa e infelice e paga lo scotto di non aver saputo sviluppare la sua natura di lesbica ("puoi ingannare la Natura ma alla fine la paghi cara"). Si è ripiegata così ad amare in maniera anche morbosa la sorella Anna. Ritorna di nuovo (dopo "Come in uno specchio") il tema dell'incesto fra fratelli/sorelle. La sua solitudine è espressa in maniera crudele e lascia il segno in chi guarda. Tanto più che le scene in cui soffre terribilmente sono di una forza e di un'intensità emotiva quasi disturbante. Si anticipa un po' il tema di "Sussurri e grida". Solo che qui un premuroso cameriere anziano non basta a dare una speranza. Lui fa semplicemente il suo lavoro. A Ester non rimane che morire sola e soffrendo tantissimo.
Anna invece è troppo legata ai sensi. Sembra che lo faccia per stordirsi e non pensare al fallimento della propria vita. Vorrebbe liberarsi della sorella ma tutto sommato le dispiace, ne soffre. Comunque la scelta finale sarà quella dell'egoismo, ma significherà la morte dei sentimenti, la prospettiva di un'esistenza dura e arida.
L'unica nota positiva è il piccolo Johan. Con la sua fantasia, la voglia di giocare, l'innocenza, rappresenta la speranza nel futuro. A lui verrà data in eredità l'esperienza degli adulti, avrà ciò che rimane dell'esistenza, quello che sopravvive del nostro passaggio terreno; è l'ultima parola del film: "l'anima".
Vedere questo film è stato per me una piccola tortura. Alla fin fine, a mente fredda, sulla noia prevale però la grande ammirazione per chi ha saputo esprimere un certo tipo di pensiero (l'esistenzialismo) in una maniera così concreta, intensa, efficace ed impressionante.