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LA GRANDE BELLEZZA regia di Paolo Sorrentino

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Gruppo STAFF, Moderatore Jellybelly     8 / 10  17/03/2014 15:52:02Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
E finalmente l'ho visto pure io. Mi sarebbe piaciuto vederlo lontano dall'hype per essere sicuro di non subire condizionamenti di alcun genere, ma purtroppo non ce l'ho fatta. Proverò lo stesso ad essere oggettivo, per quel che vale.

Togliamoci subito il dente: "La grande bellezza" non è il miglior film di Sorrentino. Non lo è perché non riesce a rivaleggiare con la perfetta sintesi di tecnica e storia rappresentata da "Le conseguenze dell'amore" (che rimane il capolavoro del regista napoletano) né con la potenza visiva de "Il divo", non lo è perché lo penalizza una lunghezza che non sempre sembra giustificata dalla storia e non lo è perché in effetti l'autocompiacimento di Sorrentino a volte sembra scavalcare le esigenze narrative. Ma attenzione: tutti questi difetti (e soprattutto l'ultimo, su cui tornerò più avanti) sono semplici e banali inezie, buone solo a far le pulci al miglior nuovo regista italiano (assieme a Garrone) ed a stabilizzare il voto sull'8 anziché sul 9. Oppure a far parlare i soliti cinefili fatti in casa, odiosa popolazione cui ormai non si riesce nemmeno più a rispondere con il sempre ottimo Nanni Moretti: "Tutti parlano di cinema, tutti! Parlo mai di astrofisica, io?"

Venendo al merito, "La grande bellezza" non è un ottimo film perché "ha vinto l'oscar", perché "agli americani piacciono gli stereotipi", perché "è di Sorrentino, se l'avesse fatto qualcun altro non se lo sarebbe filato nessuno" o perché "è intellettualoide e lo dici solo per darti un tono". No, "La grande bellezza" è un bel film perché parte da una premessa semplice e ci costruisce attorno un'analisi spietata quanto definitiva dell'animo umano (o meglio, dell'apparato umano) con tutte le sue meschinità, fragilità, ipocrisie e bassezze. Lo fa con un'ampiezza di respiro che ho trovato di rado in altri film, e con una tecnica del tutto inedita nel cinema contemporaneo, in cui trionfa la fotografia da fiction ed in cui il piano sequenza è visto come una perdita di tempo.

Sorrentino prende un personaggio miserabile (in bocca al quale sarebbe stato bene il celebre "Potevo diventare qualcuno!" di Terry Malloy), costretto a guardare dentro la miseria degli ultimi 40 anni della propria esistenza, e ne fa il perno di una trottola colorata di altre miserie. Quando la trottola si ferma, ecco che le singole miserie appaiono in tutta la loro crudeltà, e Sorrentino ce le presenta così, fredde e nude.

Abbiamo quindi il grossista di giocattoli (Buccirosso) che elogia il proprio rapporto con la moglie, ma che si dimena eccitato ad ogni festa dicendo "Te chiavasse" alle ballerine scosciate; Viola, madre disperata di un figlio depresso; Stefania, scrittrice "schierata" ipocrita e perbenista (cui è dedicata la scena più rivelatrice del film, in cui Jep mette a nudo il proprio fallimento nello svelare quelli dell'"amica"); i conti decaduti Colonna di Reggio, che si offrono a nolo per eventi mondani (il loro rientro nella casa/museo è una delle scene più toccanti del film); Ramona, unico personaggio che potrebbe affrontare la vita a testa alta nonostante la condizione sociale evidentemente svantaggiata (chapeau alla Ferilli); Romano, perdente che idolatra Jep ma che capirà ben prima di quest'ultimo quale spreco sia stata la sua vita; l'ex soubrette in disfacimento psicofisico (coraggiosissima interpretazione autobiografica di Serena Grandi). E poi ci sarebbero l'artista concettuale (in cui mi piace vedere uno sfottò anche ad Isabella Santacroce e le sue imbarazzanti performance gonfie di vuotezza), il cardinale gastronomo e tante altre figure sbattute nel grande circo della mondanità, un circo che riesce a trasformare in una figura pop anche una monaca ultracentenaria che dedica la propria vita ai poveri ed ai malati.

Il perno, come detto, è Jep Gambardella: un uomo condannato alla sensibilità che però ha deciso di mettere sotto naftalina la propria sensibilità, o meglio ancora di usarla come grimaldello per sfondare in quell'orgia di mondanità all'acqua di rose, vuota e deprimente, ma che tanto conforto dà a chi non vuol fermarsi a pensare alle proprie miserie ed ai propri fallimenti. E mentre il tempo passa le domande rimangono le stesse (anche se forse la domanda è una sola: perché il mio primo, unico e vero amore mi ha lasciato?), e le risposte che mancavano 40 anni prima continuano a mancare e mancheranno per sempre, forse, indipendentemente dal numero di aperitivi e balli e borse sotto gli occhi e cerchi alla testa.

"La grande bellezza", quindi, non è altro che un film sulla sconfitta della vita ad opera del chiacchiericcio e della vacuità, come precisato dallo stesso Jep nel meraviglioso monologo finale, e la riprova di quanto Sorrentino abbia colpito nel segno risiede proprio dal modo in cui tutti i commentatori politici, opinionisti televisivi e bestiame vario ha reagito dopo la vittoria dell'oscar: un trionfo del vacuo, teso solo a fare di questo film l'ennesimo idolo pop, proprio come nel film accadeva alla Santa.

Oh, e poi c'è Roma, ossia il co-protagonista del film. La Roma bellissima e crudele, capace di sedurti e di farti smarrire, di ispirarti e di ucciderti, di inondarti di maestà pur nascondendo il proprio animo subdolo e crudele. Ho letto tante stupidaggini sul ruolo di Roma in questo film. Io che Roma la vivo, e che sono sempre stato sull'orlo dell'ambiente tratteggiato da Sorrentino, non posso far altro che apprezzarne il coraggioso e pulsante ritratto. E riflettere per l'ennesima volta sul talento profetico di Remo Remotti (https://www.youtube.com/watch?v=WC0uBCEjEdY).

Dal punto di vista tecnico, poi, non val nemmeno la pena di iniziare una discussione. La regia è tra le migliori di Sorrentino, i primi 15 minuti sono da storia del cinema (in tempi recenti, gli unici registi che sono riusciti a regalare incipit di tale potenza visiva sono stati solo Garrone con "Reality" e lo stesso Sorrentino con "Il divo"), ma ogni inquadratura è come una pennellata di colori racchiusa in geometrie rigorose.

I titoli di coda sul Tevere, poi, sono l'inchino di un grande artista al proprio pubblico. Ed io, che ho sentito quel saluto come diretto a me, ringrazio con un cenno del capo, soddisfatto.
oh dae-soo  17/03/2014 17:56:23Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Hai scritto un commento tanto bello che mi viene voglia di tornare a commentare qua.
A parte gli scherzi, complimenti.
Gruppo STAFF, Moderatore Jellybelly  17/03/2014 18:03:54Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Macché a parte gli scherzi, vieni qua, abbracciami!
oh dae-soo  17/03/2014 18:14:17Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
L'avrei fatto con il 9.

E con il 10 sarei pure venuto a Roma mi sa
Gruppo STAFF, Moderatore Jellybelly  17/03/2014 18:16:12Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Guarda, se non fossero esistiti "Le conseguenze dell'amore" e "Il divo" credo che il 9 ci sarebbe scappato. Ma avendo dato 9 a questi ultimi, dovevo regolarmi di conseguenza. Ma il voto è solo un numeretto, quello che conta è la maestosità dell'affresco, da rimanere senza fiato.
oh dae-soo  18/03/2014 00:08:53Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Quella di Lost rimane una pagina per me abbastanza "vergognosa" di questo sito.
Ma credo che tutti gli utenti ne abbiano trovate ai loro occhi alcune.
Quindi la mia reazione è stata spropositata, alla fine un sito rimane, ci posto commenti e rispondo a chi scrive, non devo cenare con nessuno.
Quindi mea culpa e si torna dentro.
Grazie a Sorrentino.