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LA GRANDE BELLEZZA regia di Paolo Sorrentino

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elio91     9½ / 10  30/05/2013 22:54:03Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Ci troviamo di fronte ad un oggetto tanto lucente e riflesso di vita propria da non poterlo definire subito "capolavoro" né bocciarlo mettendo le mani avanti. "La grande bellezza" è un classico già prima di uscire, a maggior ragione lo diventerà con il passare del tempo e magari, un giorno, verrà citato tra i grandi film italiani post 2000 e non sarebbe poi questa grande bestemmia.

L'ambizione di Sorrentino pare sterminata. Non ha paura di sembrare elitario, snob o arrogante infarcendo questo suo capolavoro (ehm…) di citazioni letterarie e cinematografiche. Guardate bene, osservate tra le pieghe e riflettendo su ciò che si è visto: il referente principale sembra essere Fellini come annunciato ma non la sua Dolce vita di cui, certo, "La grande bellezza" condivide l'urgenza espressiva nel mostrare la mondanità disfatta della Roma bene; piuttosto cita "Roma" di Fellini per quei flash di romanità pura caciarona e di bellezza classica che fanno capolino tra la musica tunz tunz e la volgarità quotidiana.
Altra ispirazione citata più volte durante il film è Proust: nella Recherche il protagonista rifletteva sulla sua vita mondana piena di fronzoli, ipocrisia, in cui non aveva trovato ciò che stava cercando (I Guermantes, Sodoma e Gomorra) per poi, nel tempo ritrovato, decidere di scrivere un romanzo sulla sua esperienza e sulla sua ricerca, un libro che sarà appunto la Recherche. E Jep Gambardella/Paolo Sorrentino condividono la stessa ambizione riflessa in un'operazione di rara raffinatezza tematica, ovvero passare attraverso i gironi dell'inferno di una Roma con "trenini che non vanno da nessuna parte" per scavare e trovare gemme preziose nonostante la rozzezza che li circonda e che mostrano.
Vedete quindi come si parla di un film nato per essere un monumento postumo in vita, prima di nascere, e Sorrentino che è furbo lo sa bene. Che piaccia o venga detestato, ne parleremo per molto tempo ancora e difficilmente ce ne stancheremo.
Gambardella (un Servillo che è semplicemente divino) vive come i suoi conoscenti in un mondo disfatto e decadente, come una musica suonata nel vuoto. Vivono tra feste e chiacchierate spocchiose muovendosi e comportandosi come per inerzia, NON andando da nessuna parte, NON appagandosi, tra miti di un passato che lapidario non si decide di morire (il Martini, una gigantesca Serena Grandi che pare la pùttana matrona di "Roma" di Fellini).
Non è la pigrizia ad impedire a Jep di scrivere un altro romanzo dopo l'unico scritto in gioventù, "L'apparato umano", ma unicamente il suo essere stato fagocitato dalla vacuità che lo circonda. Adorato dal suo amico Romano (Verdone quasi irriconoscibile nella mediocrità che infonde al personaggio), che capisce prima di lui di non poter andare avanti cosi, di dover scappare via. Andrà via anche Ramona (Ferilli raramente cosi brava) mentre l'universo continua a muoversi sempre uguale a sé stesso attorno a Jep, scintillante e artificioso, mondanità di ruderi tra gli altri ruderi monumenti di Roma.
Sorrentino ha la capacità straordinaria di rendere il mondo della città un unicuum, esplora ogni anfratto come al microscopio e non sembrano esserci per gli spettatori zone d'ombra bensì solo spazi aperti al suo sguardo illimitato; apre le porte di palazzi principeschi e come Pratt con Corto Maltese ci porta in posti che forse solo i romani (veneziani) conoscono, in storie cristallizzate che di tanto in tanto possono frequentare quando sono stanchi di ciò che li circonda (Corte Sconta detta Arcana). I soffitti possono diventare onde azzurre e mari, un trucco come quello usato da Otto Marvuglia ne "La grande magia" di Eduardo De Filippo. Ma lì il trucco era una semplice ciarlataneria, qui le giraffe spariscono e anche se il trucco c'è… non sappiamo che fine hanno fatto.
Le piccole cose e brevi attimi in cui una certa purezza sembra risvegliarsi ci salveranno, il messaggio è semplice come i costumi di una suora in odore di santità.
Sorrentino getta via l'umiltà in un mare sconfinato di ambizione che alcuni ameranno, altri detesteranno. In un mondo cinematografico sempre più morto, l'umiltà è un peccato mortale, Sorrentino manna dal cielo.
oh dae-soo  07/06/2013 19:35:41Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
"ovvero passare attraverso i gironi dell'inferno di una Roma con "trenini che non vanno da nessuna parte" per scavare e trovare gemme preziose nonostante la rozzezza che li circonda e che mostrano"

bellissima Elio, praticamente la descrizione perfetta delle poche battute sul davanzale con la suora

anche il resto del commento è notevole.

ma poi sta ricerca de sta bellezza Jep la fa con impegno o è una mezza scusa per il suo non far niente?
Alle feste e in quella fauna ci sguazza e basta oppure ci sguazza osservandola con disprezzo e ricercando qualcosa di buono?

No perchè a volte quel personaggio non me la racconta giusta
Niko.g  07/06/2013 19:55:12Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Vedo che si comincia a ragionare.
Jep (alias Sorrentino) non denuncia, non disprezza e non propone. Si lascia trasportare dal "mal di vivere" e si perde, senza punti di riferimento, nel suo nulla.
Altro che grande bellezza.
elio91  07/06/2013 20:04:36Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Non sono d'accordo. Jep disprezza, denuncia e propone ma si, è vero che ci sguazza in questo nulla che lo circonda.
Ma che NON sia riuscito ad emanciparsi non è cosi scontato. Se decide di tornare a scrivere il motivo è una spinta verso la ricerca di una grande bellezza che probabilmente non aveva mai voluto cercare davvero, ma si limitava ad accettarne momentanei appagamenti come per serendipità.
Il fatto che torni a visitare il cimitero della sua adolescenza pronunciando parole verso il futuro è emblematico. Che poi ci riuscirà, questo non ci è dato saperlo.
elio91  07/06/2013 20:00:04Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Ambiguo lo è, però qualcosa cambia in lui come gli dice la sua amica nana: già dal rapporto con Ramona e dalla sua fine c'è un pezzo di Jep che si spezza ma tutto era cominciato già con la morte della sua fiamma dell'adolescenza.
Tanto che se inizialmente dimostra una disillusione crescente (tipo quando demolisce la radical chic dicendole di avere una vita distrutta come tutti loro), verso la fine è evidente la spirale discendente che pare avere accettato nonostante tutta l'amarezza ("fai sparire pure me" "guarda questa gente, la mia vita non è niente", i trenini che non vanno da nessuna parte) eppure lui a queste feste e questi trenini continua a partecipare. Nel finale sembra ravvedersi del tutto, ma è sospeso.
E' l'ossessione del cinema di Sorrentino per la nostalgia e il feticcio di un passato in cui abitare, e il perno centrale è sempre il mistero. Non incarnato da un personaggio come potevano esserlo Geremia de Geremei, Titta di Girolamo o Andreotti, ma un mistero che Gambardella ricerca fuori di sé negli "sprazzi incostanti di bellezza" e che trova, ma vengono poi fagocitati.
Quel mistero del sorriso della sua ragazza che poi l'ha lasciato, non si sa perché.
Domande sul come e soprattutto SE Jep abbia avuto un evoluzione e si sia distaccato dalla vacuità che lo circonda nel finale sono aperte.

Grazie dei complimenti!