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BLANCANIEVES regia di Pablo Berger

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Barteblyman     8½ / 10  06/11/2013 18:44:54Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
L'ultimo film muto che ho visto al cinema è stato Sciopero di Ejzenštejn, con annesso accompagnamento musicale dal vivo. Un'esperienza oltremodo oltremodo e quindi posso capire che a detta di Pablo Berger il progetto di un film muto sia nato o quantomeno si sia acutizzato con la visione di Rapacità di Stroheim, anche lui innanzi ad uno schermo e con annesso accompagnamento musicale. I maligni possono ben donde o di certo invece vedere un che di prender la palla al balzo in relazione al successo e agli oscar del The Artist di Michel Hazanavicius. The Artist è sì un buon film (con all'interno cose molto belle) ma non è una genialata pazzesca. Un'ideona. Qualche anno prima c'era già stato un altro film muto, Dr. Plonk di Rolf de Heer, una commedia surreale immeritatamente poco conosciuta ai più. Or dunque, chiarito che il film di Berger non pecca alla fin fine di un puerile nonché anche giustificato battere il ferro finché è caldo (e spero di farla finita con questi adagi) giacché e soprattutto perché il progetto era in progetto da tempo, si può con leggiadria sostenere che questa rivisitazione della celebre fiaba dei fratelli Grimm è nera, nerissima e al suo interno vive una stranezza estraniante e affascinante. Alcuni, direi non a caso, vi hanno visto echi alla Buñuel, alla Pabst e alla Dreyer e questo è un ulteriore aspetto positivo a riguardo. Aggiungiamoci anche che qua e là si scorgono afflati non lontani da quel genio che era Tod Browning e fantastichiamo che i migliori Cure non avrebbero di certo sfigurato nella comunque valida colonna sonora di Alfonso Vilallonga e abbiamo un quadro chiarificatore della pellicola: Blancanieves è un gran film!

Un film perfetto e bellissimo che va dai toni leggeri a quelli macabri (a dir poco); un film che commuove (superbo il finale) e che ammaglia in ogni fotogramma. Bello e repulsivo allo stesso tempo. Potrà non piacere, ovviamente, e sarà in qualche modo giustificato questo non piacere giacché Berger non fa giochini o quelle cose carine che allo spettatore medio piacciono, magari memori delle dolcezze del bianco e nero di Hazanavicius. Il regista spagnolo fa cinema puro e splendido. Un fulgido lavoro artistico che trova il giusto quadro: regia, montaggio, fotografia, recitazione. Il tutto orchestrato dalla sottotraccia contenutistica e struggente: il sentimento muto, soffocato, represso. Con una certa carezzevole simpatia ci addentriamo quindi in questa Andalusia degli anni '20. Facciamo la conoscenza del celebre toreador Antonio Villalta. Idolo delle folle nonché marito amato da una dolce moglie. Ma il tragico -haynoi- è insito nella corrida nonché in quel cerchio che costituisce la nostra esistenza. Ed è, quasi dalla ceneri di una vita troppe volte spietata e pure *******, che nasce Carmencita. Bambina vivace che per miglior amico ha il gallo Pepe e che nel suo drammatico percorso di crescita (reso ad "ostacoli" grazie alla diabolica matrigna) arriverà poi a far la conoscenza dei Los Enanitos Toreadors, sei nani e non sette (si sa che nella conta viene sempre a mancarne uno e quindi tanto meglio toglierlo subito), nani che che costituiranno la sua vera famiglia. Insomma, Biancaneve. O meglio, Blancanieves.

Via dunque gli orpelli, il compiacimento o gli omaggi fini a sé stessi, Blancanieves è poesia nera e gotica. Un ritorno al cinema delle origini che non è neanche un mero nonché manierato ritorno vero e proprio ma una riuscita rielaborazione. Lo sappiamo bene, la crudeltà e l'orrore insito nella fiabe è quantomeno bizzarra, nel senso che è evidente e celata allo stesso tempo. Le favole che ci raccontavano da bambini erano dei laboratori orrorifici: bambini arrostiti, squartamenti, roghi. E' bello che fin da piccoli ci si abitui all'esistenza assorbendo inconsciamente il peggio dell'uomo. Berger quindi sceglie bene scegliendo Biancaneve. Pablo Berger, da buon spagnolo, è qui in linea con quel surrealismo che (come potrebbe chissà ripetere Bazin) è gusto dell'orribile; "quella ricerca degli aspetti estremi dell'essere", "quell'espressione della più estrema decadenza umana" che alcuni protagonisti del surrealismo spagnolo hanno documentato e messo in scena per dire sovente l'opposto, ossia che le crudeltà rappresentate non sono che "la misura della fiducia che essi avevano nell'umano" * Vale al dire il riscontrare, nonostante tutto, la "bellezza nell'atroce". La favola riscritta di Berger palesa sì il lato oscuro, o meglio, il nero più nero ma mette anche in luce, nel contrasto, l'animo pulito della sua protagonista. La fiducia, tuttavia, nell'essere umano.

Umanità e disumanità davvero ottimamente resa nei volti di tutti i protagonisti del film. Dalla cattivissima matrigna interpretata da Maribel Verdú (Y tu mamá también, Il labirinto del fauno), alla nonna interpretata da Ángela Molina ma soprattutto dalle due Biancaneve. La piccola Blancanieves di Sofía Oria (fantastica) e quella adulta della sorprendente esordiente Macarena García (Premio Goya come attrice rivelazione). Insomma, inutile dilungarsi, il film parla già bene di sé di suo. Si spera che riceva le giuste e meritate attenzioni anche dal pueblo italico e che riesca a conquistarsi il meritatissimo spazio tra i film di cuore e stomaco di questa stagione cinematografica nostrana. Per quanto mi riguarda, si sarà capito, ha già raggiunto il suo scopo.


* André Bazin, Che cosa è il cinema?, a proposito di Buñuel.

n.d.r.d.a.g.e.t.d.j.
Per quanto riguarda "film che rivisitano le fiabe", questo Blancanieves io lo vado ad inserire in quel prezioso cassetto cinefilo che comprende film come Tideland di Terry Gilliam e il fantastico Phoebe in Wonderland di Daniel Barnz.