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GLI AMANTI PASSEGGERI regia di Pedro Almodovar

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Invia una mail all'autore del commento LukeMC67     7 / 10  25/03/2013 02:01:07Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Si può ridere della (e sulla) disperazione?
Questo ossimoro traduce tutti i pregi e tutti i limiti dell'ultima pellicola di Almodovar.

Pubblicizzato come il ritorno di Almodovar alla commedia degli esordi con tanto di rentrée per tutti i suoi attori-feticcio, in realtà traspare e trasuda di tutto il pessimismo di cui il non più giovane regista spagnolo ci ha fatto parte almeno da "La mala educaciòn" in qua: l'aereo che gira a vuoto sui cieli spagnoli per colpa dell'imperizia di due operai troppo impegnati nelle loro vicende private per occuparsi dei propri doveri pubblici, altro non è che la Spagna di oggi, e i passeggeri che lo popolano altro non sono che gli abbrutiti cittadini iberici divorati da egoismi, ignoranza e corruttele varie (in una intervista Almodovar ha precisato pure che nota precise somiglianze tra la situazione italiana e quella del suo Paese: et pour cause, verrebbe da dire!).

Come sempre, maggiore indulgenza viene riservata ai personaggi femminili e a una coppia gay maschile in vena nientemeno che di convolare a giuste nozze (roba da fantascienza per l'Italia). Ma, a parte questo, non si salva nessuno e la meschinità di ogni personaggio (annegato in una volutamente estremizzata stereotipizzazione) viene solo alleggerita da tic, ossessioni, dialoghi e situazioni surrealissimi, con un tocco "gayo" veramente notevole e divertente. E su tutto l'ancor più surreale finale che è la summa dell'ironia tagliente (e disperata) di Almodovar:


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Il disincanto di Almodovar è attutito solo dalla risoluzione umana e familiare del banchiere in fuga che accetta alla fine il suo destino nelle patrie galere riuscendo a riconciliare la figlia con se stesso e con la madre dopo anni di separazione e rancori. Il tutto con l'intercessione determinante di una prostituta d'alto bordo regina del sadomaso che rinuncia al ricatto come stile di vita per abbandonarsi all'amore verso l'uomo che avrebbe dovuto ucciderla, suprema metafora del prendersi cura dell'altro che negli anni edonistici dei fasti economici abbiamo dimenticato, chi più, chi meno.

Interessante in questo film il discorso sulla verità che Almodovar propone attraverso il personaggio dello stewart che non può mentire a causa di un trauma subìto: non sempre la verità spiattellata in faccia in qualsiasi momento risolve i problemi, sono necessari anche l'intelligente delicatezza della diplomazia unita all'onestà dell'anima, valori che presuppongono una reale conoscenza degli interlocutori, valori perduti in anni di coltivato egoismo.

E ancor più interessante la visione pansessuale che il regista spagnolo ci regala non lesinando in situazioni che virerebbero allo scabroso andante se non fossero controbilanciate da un'ironia divertita, sferzante e veramente liberatoria: non è il sesso a essere scandaloso, ma le cortine di ipocrita moralismo che lo avvolgono. Una volta diradate quelle nebbie, esso diventa gioco e relazione; al punto da favorire l'emergere di sentimenti profondi e di progetti di vita da costruire con la persona amata, indipendentemente dal suo sesso biologico.

Molte situazioni e molti dialoghi risentono della difficoltà di rendere in italiano situazioni e riferimenti tipicamente spagnoli, il che è un peccato. Anche il doppiaggio non mi ha convinto, soprattutto quello di Banderas e di Javier Càmara. Strepitosi i titoli di testa e di coda (un marchio di fabbrica per molto cinema spagnolo, a dire il vero), la colonna sonora e la stupenda coreografia degli stewart gay sulle note dei Bee Gees.

Da vedere senza troppe pretese ricordando che i tempi della liberazione dal franchismo e della crescita economica sono ormai lontani, e che far ridere sulle sabbie mobili di una crisi apparentemente irrisolvibile non è cosa semplice, neanche per un genio come Almodovar. Purtroppo.