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EDUCAZIONE SIBERIANA regia di Gabriele Salvatores

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atticus     6½ / 10  24/05/2013 00:46:51Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Non si può certo dire che a Salvatores manchi la volontà (e il coraggio) di fare un cinema diverso dagli standard a cui siamo tristemente abituati. Non si parla, in questo caso, della potenza da esportazione indubbia di Educazione siberiana, trasposizione dell'omonimo romanzo di Nicolai Lilin, ma della capacità di creare atmosfere per noi inedite e di misurarsi con culture da noi lontanissime. Chapeau.
Le riduzioni letterarie si addicono a Salvatores, meglio se romanzi di formazione con pesanti valenze simboliche; in realtà il precedente Come Dio comanda, tratto da Ammaniti, era assai indigesto e, come in quel caso, anche qui si respira una certa cupezza che non facilità di certo il contatto con storia e personaggi.
L'occhio occidentale del regista non si rivela un limite per il racconto, specie quando la sceneggiatura non rinuncia a entrare nel temibile abbecedario formativo dei due ragazzini, addestrati al mestiere delle armi e chiamati ad assolvere a compiti più grandi di loro.
Lo spettacolo è di grande impatto, ed è sempre sbalorditiva la capacità della macchina da presa di passare dalla brutalità alla grazia di ogni singolo movimento, che sia una lotta o un volo in giostra (ma Bowie in colonna sonora è ormai un deja vu francamente abusato).
C'è, tuttavia una notevole discrepanza tra prima e seconda parte: le suggestioni dell'apprendistato, l'ansia per un mondo tenuto in pugno ma ancora da scoprire, le regole per una sopravvivenza quasi gangsteristica e, infine, l'amore vaneggiato per una donna sublime (tanto sublime perché irraggiungibile) si disperdono, col trascorrere del tempo, in un racconto di crescita sempre più banalizzato e privo di pathos che, se da un lato rispetta la costruzione di un percorso annunciato, dall'altro vanifica buona parte dell'interesse.
Non mancano scivolate nel patetico (Xenja che suona il pianoforte nel fiume in piena, le colombe bianche liberate nel cielo) e un ricorso, fortunatamente trattenuto, a futili scene madri; per non dire della recitazione terribilmente manierata di Malkovich, meglio (con le dovute misure) gli esordienti Fedaravicius, Tumalavicius e Tomlinson.
Resta un film sorprendentemente agile, fotografato magnificamente da Italo Petriccione, ma dal respiro epico alquanto trattenuto.