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ZERO DARK THIRTY regia di Kathryn Bigelow

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Barteblyman     9 / 10  11/02/2013 17:41:04Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
L'uomo più ricercato del pianeta, inserito all'interno di un'ideologia fortemente maschilista che vede nel femmineo un utensile o giù di lì, è stato stanato da una donna. Poco più che trentenne, rossa, tacchi alti, determinata, ha fatto della cattura di Osama bin Laden un'ossessione vera e propria. Ossessione conclusasi, come ha poi testimoniato un marine, chinata e in lacrime davanti ad un elicottero nonché davanti alla salma dell'uomo a cui aveva dato la caccia.
Premiata con un'onorificenza dalla Cia, vedendo che il medesimo premio era stato dato anche ai suoi colleghi, lei ha inviato una mail collettiva agli altri agenti con scritto: "Voi mi avete ostacolata, mi avete lasciata sola, mi avete combattuta, soltanto io merito il premio, voi no." In risposta la Cia le ha negato una promozione.
E' questo il personaggio (reale) raccontato dalla Bigelow. E questo è anche uno dei punti a sé della pellicola, giacché non è facile scrivere di questo film. Nel senso che non è un semplice film su dei tizi che vanno ad ammazzare un tizio. E lo si capisce subito nei primi pesanti 40 minuti che mostrano le "tecniche avanzate di interrogatorio". Fanno male, perché è proprio dannatamente vero che la storia la scrivono i vincitori. E in questo caso i vincitori sono gli Stati Uniti d'America e la loro osannata democrazia. Democrazia che beatamente cela il sangue sotto le stelle e le strisce, democrazia legittimata a commettere crimini contro l'umanità. Democrazia che a volte, sbigottita, si ritrova a domandarsi: "Ma perché ce l'avete tanto con noi? Noi portiamo la pace." Ma questo è un altro punto, per l'appunto. Si rischia di generalizzare e di diventare ciechi e stolti. La Bigelow invece è riuscita a costruire un film che "vede"; non incentrato sul "guardate quanto siamo fighi noi americani". E' schietta, non si nasconde né enfatizza. Non giocherella.

Insomma, Kathryn Bigelow è una regista strepitosa. Ed è un bene che a dirigere una storia del genere sia stata lei... Ma chi altri poteva farlo? Questo film era suo. Questo film è donna. Per quanto, detto così, possa sembrare strano. Strano per via di un contesto così prettamente maschile e soprattutto brutale. Ma queste in effetti sono minutaglie, e non a caso quando il capo della Cia -durante una riunione- accorgendosi della donna presente nella sala, domanda: "Lei chi è?" La risposta immediata è: "Sono la figlia di ******* che ha trovato il rifugio".

La "figlia di *******", l'agente della Cia -nella finzione del film chiamata Maya- è interpretata da Jessica Chastain, candidata meritatamente come miglior attrice protagonista. Un personaggio che non fa nulla per risultare simpatico, anzi. Ma in fondo perché mai dovrebbe risultare simpatica?! C'è poi anche un'altra donna, Jennifer Ehle, che interpreta la reale Jennifer Matthews e poi ci sono gli uomini, dall'ottimo e controverso agente torturatore (Jason Clarke) ai corpi dei Navy SEALs, ed è meraviglioso il modo in cui la Bigelow scruta l'universo maschile, quei Navy SEALs protagonisti della parte più attesa del film. Parte che meriterebbe una recensione a sé, quei fatidici 38 minuti di azione dei 79 uomini ed il cane Cairo (un pastore belga Malinois).

In soldoni... Un bel film, non facile. Per nulla facile. Molti spigoli sui quali andare a sbattere, il rischio dell'auto-celebrativo, il celare, la spettacolarizzazione, etc. Kathryn Bigelow rifugge da queste insidie e non ne fa la "solita americanata", come qualcuno potrebbe dire. Anzi.