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L'ARCANO INCANTATORE regia di Pupi Avati

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Spotify     5½ / 10  14/03/2017 23:18:40Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Pupi Avati è sempre stato un regista che si è destreggiato in tanti generi e probabilmente è il director che ha girato, in campo thriller e horror, i b-movie italiani più affascinanti, i quali in un certo senso si avvicinano, per tecnica, ai grandi titoli dei maestri del brivido come Dario Argento o Mario Bava.
Avati non è affatto un regista semplice, le sue pellicole non vanno mai a collocarsi in un genere preciso, vedi ad esempio "La casa dalle finestre che ridono", il quale è un lungometraggio situato a metà tra il thriller, l'horror soprannaturale e il giallo classico. Anche questo "L'arcano Incantatore" è un'opera che non va a posizionarsi in un genere preciso, ma stavolta, non per abilità del regista nel saper mischiare i generi, ma più che altro per mancanza di idee.
La trama ruota attorno a Giacomo, seminarista che viene cacciato da Bologna per aver messo incinta e in seguito fatto abortire, una ragazza. Il giovane viene mandato in esilio sulle colline della zona, in una fatiscente abitazione dove vive, sempre in esilio, un altro uomo. Quest'ultimo, molto anziano, è un monsignore che viene chiamato "l'arcano incantatore". Il vecchio, è stato allontanato dalla città anni prima, per via dei suoi studi sull'occulto e sull'esoterismo. Da allora il monsignore, procede le sue ricerche nella sua "prigione". Giacomo, dovrà prendere il posto di Nerio, precedente aiutante dell'anziano. Nerio infatti è morto e a detta delle persone che abitano la zona, è deceduto perché anche lui aveva professato studi sull'occulto e, questa cosa, in qualche modo, gli si era rivolta contro. Giacomo così diventa il nuovo aiutante del monsignore ed, se il primo periodo trascorre relativamente tranquillo, in seguito cominceranno a succedere fenomeni straordinari e inquietanti, i quali sembrano in qualche modo legati con Nerio, che pare non essere definitivamente morto.
Il plot appare subito parecchio interessante, ma, come dicevo prima, è sviluppato in maniera un po' approssimativa da Avati.
La narrazione è piuttosto arronzata e non riesce a regalare quelle emozioni, quei brividi, quel coinvolgimento che dovrebbero avere film del genere, specialmente se poi sono opere nostrane. D'altronde parliamoci chiaro, la trama è abbastanza originale, in quanto, nel nostro, paese, non sono moltissimi i film che fino al 1996 si erano occupati sugli studi di occultismo, magia nera ecc... Oltretutto, con una storia così, da un director esperto e innovativo come Pupi Avati, lo spettatore certamente si aspetta tanto. Purtroppo invece, dal mio modesto punto di vista, si resta abbastanza delusi, proprio a causa di questa narrazione scialba, che va avanti in maniera macchinosa e che non ha mai una svolta o un colpo di scena decisivo. E' tutto molto trattenuto, si attende sempre quella scintilla che faccia prendere il volo alla pellicola, scintilla che non arriva mai.
La direzione degli attori è abbastanza anonima. Il monsignore, il quale, in teoria, dovrebbe essere il personaggio di spicco, la figura più intrigante, desta poco interesse, in quanto, l'attore che lo interpreta, è diretto in maniera scolastica e stereotipata.
Altra nota stonata, anzi, stonatissima, è la totale mancanza di suspance. E qui ci ricolleghiamo al genere d'appartenenza della pellicola. Di scene da film horror vero e proprio non ce ne sta nessuna, manca la tensione del thriller e l'immaginazione del fantasy. Non si capisce sul serio quale era l'idea che aveva in mente Avati.
La sceneggiatura è mediocre. Non regala mai una situazione clou, è tutta un continuo ripetersi dei vari avvenimenti. I dialoghi sono più noiosi della messa (e mi sto mantenendo basso), i protagonisti tratteggiati male e chi più ne ha più ne metta. Solo l'epilogo presenta un contesto originale e che almeno chiude in maniera dignitosa uno screenplay di basso livello.
Il cast non è niente di che: Stefano Dionisi, penso non conosca il significato del termine espressione. Per tutto il film ha stampato sulla faccia uno sguardo dal quale non traspare altro che monotonia e svogliatezza. Esplicazione dei dialoghi poi... lasciamo perdere.
Carlo Cecchi fa quel che può, è sicuramente meglio di Dionisi, ma risulta anche lui sotto tono. E poi recita in un modo assai scontato.
Insomma, Avati poteva sceglierli meglio gli attori.
Tuttavia la pellicola ha anche dei lati positivi, altrimenti il voto sarebbe stato parecchio più basso.
Innanzitutto la colonna sonora è convincente, d'altronde Pino Donaggio è sempre una garanzia. Bello il tema, molto settecentesco con venature gotiche.
La fotografia è passabile, le tinte spente rappresentano bene l'anno nel quale la pellicola è ambientata e aiutano a creare una buona atmosfera "goticheggiante".
Tale clima, è accentuato ancor di più dalla bella scenografia, forse unica cosa, insieme al soundtrack, del film ad esser fatta come si deve. Avati caratterizza benissimo tutti gli spazi a disposizione, dalle immense colline alla lugubre abitazione. Quest'ultima in particolare è davvero affascinante. Il regista ce la fa esplorare stanza per stanza e ogni volta la telecamera si concentra sulla gigantesca libreria, anche attraverso riprese dotate di un certo virtuosismo.
Il finale è uno dei pochi elementi decenti della regia. E' ben studiato, presenta un buon colpo di scena, forse un po' prevedibile, però, da una pellicola così, non è che c'era da aspettarsi un epilogo epocale. Finalmente poi, si avverte un minimo di tensione. Peccato solo che il tutto si concluda in maniera tronca (oltre che un tantino illogica).

Conclusione: un film che non è ne carne ne pesce, totalmente insipido. Non affonda grazie alla suggestiva location e alle validissime musiche. Da Avati però, uno si aspetta di più. 5 e mezzo è forse anche troppo generoso, però non me la sento di dare meno. Comunque non è affatto una bel film.