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HOLY MOTORS regia di Leos Carax

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Matteoxr6     6 / 10  21/09/2017 02:31:01Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Il mio parere è che se gli date un voto molto basso è perché, giustamente, pensavate di avere di fronte un film. Viceversa, un voto molto alto me lo aspetto da una giuria che sa di stare per vedere un manifesto o una tesi sul cinema. Nel secondo caso, a mio avviso, ci si va più vicino e si comprendono meglio certe dinamiche senza farsi prendere da sconforti o scervellamenti. È sufficiente la scena iniziale per capire che il regista intende introdurci nella sua visione cinematografica sotto il profilo critico. Un attore che apre con le sue chiavi la porta della quarta parete e vede un pubblico annoiato, spento, disinteressato. Comincia da lì un viaggio dell'attore nel ruolo dell'attore: tante microstorie, tutte diverse, ma simbolicamente canoniche. E da qui parte anche lo sfoggio culturale e tecnico del regista, che un po' fa trasparire il suo compiacimento nel palesare la sua erudizione propriamente tecnica, ma anche nostalgicamente omaggistica (si potrà dire "omaggistica"? Non credo). Il breve intervallo del dialogo tra il protagonista Oscar (nome ovviamente non casuale) e l'incarnazione (presunzione mia) del produttore hollywoodiano sancisce uno dei punti chiave, forse il più importante, del manifesto di Carax: "Hai l'aria stanca. Che cosa ti fa andare avanti?", chiede il produttore, e Oscar risponde: "La bellezza del gesto", "La bellezza è negli di chi guarda" e l'attore: "Se non c'è più nessuno che guarda?". Nella scena si fa anche riferimento alla tecnologia nel cinema. Mi sembra che, in entrambi gli spunti, non si centri il punto, cioè: di spettatori, nonostante le varie e intersecate vicissitudini, ce ne sono a iosa al e per il cinema, solo che vanno a vedere la *****. In secondo luogo, veramente non comprendo la paranoia sullo sviluppo delle telecamere come sineddoche di una problematica più ampia su realtà e finzione, su espressione e trasmissione dell'emozione. Se qualcuno illuminato dovesse leggere il mio commento, mi farebbe molto piacere una correzione sul mio ipotetico fraintendimento del messaggio. Quello che sicuramente non ho colto è l'equivoco, come lo chiama la sua autista, dell'uccisione del banchiere. Non era in nessun copione, ma una decisione del tutto improvvisata dall'attore. Il resto della pellicola scorre linearmente, fino all'incontro fortuito con un'altra attrice, scena attraverso cui si fa più incisiva la volontà di esprimere un sacrificato lato umano, sociale, intimo dell'attore in quanto essere umano. Ciò non mi ha convinto affatto, così come il finale citazionista. Gli do sei perché, come ho scritto all'inizio, per me non è un film, è un manifesto cinematografico. Non sono pentito di averlo visto, ma credo che sia fine a sé stesto, cioè che non offra spunti degni di nota, ma che anzi compia il suo ciclo vitale (leggi intelletuale) dal proprio inizio ai titoli di coda.