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IL LUNGO ADDIO regia di Robert Altman

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amterme63     7½ / 10  30/10/2009 22:25:21Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Un altro atto nella riscrizione da parte di Altman dei generi cinematografici tradizionali americani. Stavolta viene rivisitato il noir, prendendo come soggetto uno dei suoi grandi protagonisti, l’investigatore privato Marlowe, frutto della penna di Chandler e già portato ai fasti del grande schermo grazie a Humphrey Bogart e Hawks.
Altman svuota completamente il genere dalla sua atmosfera tipica fatale e morbosa, un po’ gotica e espressionista. Fin dai primi fotogrammi la vicenda appare immersa nella banale, banalissima vita quotidiana, con i suoi atti anche insignificanti, come dare il mangiare al gatto, andare al supermercato, dialogare con i vicini di casa, aiutare un amico in difficoltà.
Le storie “poliziesche” non vengono usate da Altman per creare suspense, tensione nello spettatore o per farlo evadere nel mondo speciale dei personaggi, forti, duri, temprati dalla vita. Servono piuttosto per creare uno spaccato abbastanza critico della società, con gli hippies già chiusi nelle loro stranezze, la gente comune con i suoi vizi consumistici, i ricchi con i propri problemi psicologici e l’infedeltà sessuale, la polizia vista come ottusa e burocratica.
Le trama in sé è quasi secondaria, le vicende “poliziesche” stanno sullo sfondo e tutto si svolge con facilità, quasi automaticamente. Conta il comportamento e la descrizione dei personaggi e dei luoghi. C’è poca drammaticità o tensione, anzi prevale l’ironia, il sarcasmo. Esemplare è il trattamento che viene riservato ad Augustin con la sua banda di malviventi. Sono persone pericolose, fanno sul serio, ma si comportano in maniera strana, a volte ridicola (come quando si spogliano) e sembrano anticipare i gangster comici di Tarantino.
E’ soprattutto la figura di Marlowe che viene rivista completamente. E’ rappresentato come una persona bonacciona, allegra, spiritosa, in sintonia con il mondo, lontanissimo dalle figure tormentate, deluse, serie della grande stagione del noir classico. Sembra vivere la vita senza farsi tante domande, così com’è. Un uomo normale quindi, non un eroe di romanzi o film di genere. C’è da dire che Elliot Gould ne dà una interpretazione superlativa, con la sua faccia tosta da schiaffi, le sue smorfie ammiccanti, il suo sorrisetto ironico, le strizzate degli occhi. Dal punto di vista affettivo sembra tenere solo al suo amico e visto il comportamento finale, l’amicizia sembra qualcosa di più dell’amicizia, sfiorando il vero e proprio amore.
Altman completa la rivisitazione del genere usando tecniche di regia insolite e innovative. Infatti si azzarda a riprendere alcune scene controsole, usa spesso la mdp a spalla, riprende le figure con oggetti davanti, oppure attraverso specchi. La fotografia è molto bella e curata, i colori brillanti e nitidi ma questo si sa, è un marchio del cinema dei primi anni ’70.
L’esperimento si può dire in parte riuscito, grazie all’interpretazione di Gould che da solo regge in pratica tutto il film e soprattutto alla splendida arte registica di Altman. Solo se ci si concentra su questi aspetti artistici si può dire che il film dia grandi soddisfazioni.
Da notare la trasformazione di Sterling Hayden, quasi irriconoscibile nei panni di uno scrittore alcolizzato. Nella scena dello “spogliarello” c’è poi la sopresa di un giovane Arnold Schwarzenegger in mutande.

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