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MILLION DOLLAR BABY regia di Clint Eastwood

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Invia una mail all'autore del commento doncorleone     9 / 10  18/01/2006 23:28:34 » Rispondi
Lo avevo lasciato in mezzo alle zuffe tra Rojo e Bugster a disquisire con l’epico Volontè sulla presunta supremazia del fucile sulla pistola nel pugno più famoso del cinema, targato Leone. Ora lo ritrovo quà: dietro alla macchina da presa e simultaneamente davanti a tirare pugni. Fronte corrugata, viso asciutto e solcato dalle rughe, capelli rarefatti e imbiancati, pantaloni troppo su forse anacronistici per i nostri tempi. Ma è sempre lui. Eastwood non è tipo da facili mode, ha visto passare di fianco a lui innumerevoli meteore ma lui è rimasto imperterrito pilastro del cinema mondiale. Improvvisatosi da qualche anno, con mirabili esiti, anche regista ha arricchito valevolmente il suo “entourage” cinematografico già illustre. Nonostante i suoi 75 anni “indossati” con grandissimo decoro non ha perso un grammo del carisma e della lucidità che lo contraddistinguono. E insieme ad un Freeman ineccepibile ed a una giovane ragazza talentuosa e straordinariamente matura nella sua interpretazione dà vita ad uno spettacolo di rara intensità emotiva e morale. La scarna essenzialità del palcoscenico è infatti assolutamente fuorviante, accuratamente architettata da Eastwood per distogliere lo spettatore da mere spettacolarizzazioni coreografiche. L’umile semplicità che “bagna” tutto il film, accresciuta anche da un’ ingenua colonna sonora ideata dallo stesso Eastwood, è disarmante, penetrante e allo stesso tempo lancinante. Molto calzante il ring della boxe come allegoria diretta del ring della vita, in cui come dice l’ottimo Freeman è sempre possibile perdere un incontro.
Notevole vividezza poi condisce la serie di incontri pugilistici a cui partecipa la protagonista che la portano a sfiorare il sogno chimerico di un titolo mondiale ovvero di una più importante vittoria sulla sua fallimentare condizione familiare. Il film gioca tutto sull’alternanza di momenti più patetici ( nel suo significato originario cioè ricchi di pathos) e momenti invece intrisi di un’ironia leggera, caustica e sempre pungente che non diniega il lanciare sottili frecciatine alla società. La voce narrante, con i suoi suggerimenti quasi paterni ma molto rassicuranti funge da armonico raccordo tra la vicenda in se stessa e il profondo sottostrato introspetivo che essa riveste.
La palingenesi di Eastwood che si emancipa dall’ uomo burbero, laconico, che non deve chiedere mai e fortemente misogino dell’inizio film, l’enigmatica figura di Freeman tratteggiata solo parzialmente ma inesplicabile e la considerevole ascesi della ragazza sia in campo professionale che soprattutto umano, dove troverà probabilmente una nuova, anomala famiglia che ha più considerazione nei suoi riguardi, rendono il film particolarmente accattivante per i molteplici temi trattati, pur con i guantoni!
Capolavoro ( quasi )