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007 SKYFALL regia di Sam Mendes

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andrea d     9 / 10  31/10/2012 20:34:27Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
In molti pensavano che Casino Royale avesse portato una vera innovazione alla saga della spia più famosa del cinema, ma non si innova un'icona ribaltando le sue caratteristiche, facendogli dire "Fa' come ti pare" quando gli chiedono come vuole il Martini; non si innova un'icona facendo un'iniezione di sentimentalismo per ammiccare a un certo tipo di pubblico. Non basta. Poi è arrivato Quantum of Solace, il primo Bond "d'autore" (Marc Forster), troppo sobrio per chi si aspettava ulteriori superficiali sconvolgimenti, e quindi subito bannato come film minore della serie. Passano quattro anni e per la prima volta è un regista premio Oscar a dirigere 007, il Sam Mendes di American Beauty e Revolutionary Road. Arriva la rivoluzione: un film a se stante, davvero coraggioso e davvero innovativo (non furbo come Casino). Un'opera che vive di vita propria, a volte sembrando un film del tutto indipendente dalla serie, e allo stesso tempo più bondiano che mai. Mendes porta con sé tutta la sua troupe di fiducia, in primis il direttore della fotografia Roger Deakins (noto collaboratore dei fratelli Coen) e il compositore Thomas Newman. Il look di Skyfall è decisamente elegante, ricercato, guidato da una regia precisa che gestisce l'azione con la stessa finezza con cui gestisce il dialogo, rendendo leggibile ogni inseguimento o combattimento, caratteristica oggi rarissima a causa della moda dei tagli veloci di montaggio dei più recenti action movies. L'innovazione, dicevamo, corre insieme alla riscoperta del passato, "indietro nel tempo", come risponde Bond alla domanda "Dove andiamo?", fatta da M. La riscoperta del mito e del classico Bond si esplica soprattutto nel ritorno di quattro punti fondamentali che erano stati dimenticati nei precedenti episodi: 1) lo Spionaggio vero e proprio, con i suoi tempi, le sue attese, 2) l'Ironia, soprattutto quella alla Roger Moore, di cui è ripreso lo stile nelle battute, 3) il Nemico, non più forzatamente impiantato nella realtà ma sopra le righe, assurdo, come erano gli intramontabili Blofeld e Goldfinger, 4) la Scenografia, che finalmente, dopo decine di anni, richiama le fantastiche invenzioni architettoniche di Ken Adam, che davano al Bond classico quell'impronta visiva che lo ha contraddistinto (insieme alle musiche di John Barry). Perché 007 è metafora del cinema stesso: è stilizzazione. Non è realtà, non può esserlo, come pretendevano i due film precedenti. Quando l'agente segreto si cala nella realtà, come nella scena della metropolitana all'ora di punta, è fuori luogo. Bond è un personaggio di finzione che ha bisogno del suo mondo e delle sue esagerazioni, compreso un Nemico esagerato. L'innovazione invece sta nel riconoscere di essere fuori luogo, cosa che rende il personaggio, paradossalmente, più fragile e umano. Bond è un mito che viene dal passato, e perché esso possa sopravvivere nel presente senza perdere il suo fascino, ha bisogno di adattarsi con autoironia al mondo dei nostri giorni. E prima ancora ha bisogno di compiere un viaggio simbolico di ritorno alla Terra-Madre, la Scozia, dove infatti scoprirà il ruolo fondamentale della sua madre putativa (M), e poi una volta tornato, dovrà riconciliarsi con la sua nuova figura paterna-capo (Ralph Fiennes). Perché come Mendes ci fa capire bene, gli orfani sono gli eroi migliori, a causa della loro solitudine e della loro rabbia. Gli eroi sono quelli che svolgono "con piacere" (cit. dal film) le direttive di una figura guida, le direttive di un capo.