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AMOUR regia di Michael Haneke

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Invia una mail all'autore del commento LukeMC67     10 / 10  27/10/2012 01:51:51Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Da grande estimatore di Haneke, pensavo di andare a vedere un ottimo film.
Mi sono proprio sbagliato: "Amour" è "semplicemente" un capolavoro.

Avevo letto alcune recensioni che parlavano di un "cedimento nel mélo" da parte del regista austriaco che avrebbe reso questo film più accettabile al grande pubblico. Tranquilli (si fa per dire): Haneke si limita a partecipare un po' di più al dramma che mette in scena aggiungendoci tre sequenze onirico-metaforiche da brivido ma che in nulla inficiano lo spietato realismo del resto.

Di sicuro è il suo film più edificante, ma è tragicamente edificante.

L'incipit pennella in poche inquadrature e alcune veloci battute serrate tutto il film: la polizia e i pompieri irrompono in un vecchio appartamento upper class del centro di Parigi trovandovi un'abitazione perfettamente ordinata e vuota. Un pessimo odore e due porte sigillate con il nastro da pacco fanno però temere il peggio: in una stanza da letto, perfettamente abbigliata e acconciata, giace su un letto una donna anziana in iniziale, ma evidente stato di decomposizione. La donna è cosparsa di fiori, la finestra della stanza aperta, il cielo parigino è terso, tira un buon vento che mitiga il fetore della putrefazione. Un attimo dopo il primo piano del volto ormai tumefatto dell'anziana appare, su fondo nero, la parola "AMOUR" a caratteri cubitali.

Se questo incipit m'ha fatto ricordare il Von Trier di "Antichrist" o, ancor più, di "Melancholia", per tutto il resto di questo kammerspiel non ho potuto non rivedere mentalmente "Sussurri e grida" di Bergman, o "Le lacrime amare di Petra Von Kant" di Fassbinder. Ma non per assonanza, bensì per l'esatto contrario: tanto la sofferenza e la morte erano urlate nelle opere di Bergman e di Fassbinder, tanto questo "Amour" è ammantato di un silenzio soffocato e trattenuto come l'afasia che divora la protagonista (una strabiliante Emmanuelle Riva: come mai a Cannes non è stata premiata anche lei?); tanto la morte era giovane e rifiutata in Bergman e Fassbinder, tanto è vecchia e accettata con rassegnazione/liberazione in Haneke.

E cosa c'entra l'Amour del titolo, allora? (Una nota: non era forse opportuno tradurlo in italiano?). Ebbene, c'entra perché l'Amore è il vero protagonista del film, forse ben più della sofferenza e della morte stesse: capiamo subito che Haneke vuole andare a parare dalle parti più scivolose di "quello che non si deve far vedere" (come fa dire a Georges-Trintignant in uno dei colloqui più tesi con la figlia), e cioè: questo potentissimo sentimento fin dove può far spingere il comportamento di una persona? Sofferenza, sacrificio, compassione e morte stanno tutti sullo stesso piano di fronte a questo sentimento?

Haneke, da collaudatissimo entomologo dell'anima quale è, non ci risparmia nessun aspetto di ciò che comporta la sofferenza senza scampo quando essa irrompe nelle nostre vite: non a caso sceglie due personaggi intellettuali, molto consapevoli e informati, affatto credenti. Non c'è una fede consolatoria a soccorrerli, non possono evitare di essere consapevoli di quanto sta accadendo loro, hanno soldi sufficienti per permettersi quelle cure e quelle assistenze domestiche che non giustificherebbero ricoveri "coatti" sterilizzatori della sofferenza: dunque sono costretti ad affrontare la realtà e a rifletterci su. E il primo, o forse l'unico grandissimo problema che si pone loro, è la compatibilità della sofferenza e della degenerazione fisica con la propria integrità e dignità.

Assistendo ai dialoghi serrati tra padre e figlia o tra moglie e marito sulla malattia e sulle sue conseguenze, non ho potuto fare a meno di ripensare al racconto, lucido e straziante al contempo, di Mina Welby sugli ultimi 3 giorni del marito Piergiorgio: non dimenticherò mai la sua voce rotta quando raccontò l'ultima notte col marito, quella nella quale lei chiese perdono a Piergiorgio per l'egoismo di non aver voluto comprendere le sue atroci sofferenze e di non avergliele volute risparmiare (come lui aveva chiesto alla moglie) per il puro egoismo di lei di non voler accettare la separazione fisica da lui. E ricordo che lei disse che solo dopo aver ottenuto il perdono dal marito, chiamò il dottor Riccio.

Haneke in un'intervista ha dichiarato di aver scritto questo film dopo una conversazione con la moglie nella quale i due si sono chiesti come avrebbero reagito all'infermità e alla morte dell'altro/a: la grandezza del film sta proprio nel riuscire a miscelare ragioni del cuore con quelle della mente esaltando l'amore nel suo senso più alto. Così come il segreto di questa coppia stava in una serie infinita di piccole gentilezze e cure (davvero commoventi, almeno per me) perpetuate nei decenni di vita in comune, così l'empatia verso la sofferenza dell'altro (grandissimo Trintignant a farsene carico sequenza dopo sequenza) porterà Georges al supremo gesto d'amore verso la compagna di un'esistenza:

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Dunque, mai il rapporto di coppia è stato reso nella sua carnalità, passionalità, dedizione, eternità come in questo film sulla finitezza, sulla fragilità ma anche sulla forza degli esseri umani.

Una mia nota amarissima: bene ha fatto Haneke a mostrarci il dramma di due alto-borghesi; con il progressivo smantellamento dello Stato Sociale e con lo scivolamento inesorabile verso la soglia della povertà della classe media, solo ai pochissimi ricchi sarà dato di potersi permettere agonie così lunghe e strazianti. La maggioranza morirà prima. Naturalmente.


P.S.1: Una nota tecnica curiosa è che questo film non ha colonna sonora, le uniche sonate per pianoforte essendo funzionali ad alcune sequenze; purtuttavia il suono ne è un elemento fondamentale almeno quanto la (splendida, mi vien da dire "perfetta") fotografia di Darius Khondji (già collaboratore di Mondino, Jeunet e Caro, Bertolucci, Fincher, Parker, Allen... può bastare!??): se avete la fortuna di vederlo in una sala ben equipaggiata noterete che ogni "chambardement" è sempre preannunciato da suoni che provengono da un "altrove" (di solito da altre stanze della casa).

P.S.2: In tutte le Marche il film è attualmente proiettato in una sola (e benemerita) sala di Ancona. Onore al Cinema Azzurro che si contraddistingue per la qualità della sua programmazione e della proiezione (in 2K senza interruzioni) nonché alla Teodora Film che ha immesso sempre film notevolissimi, ma una pellicola del genere -pur "difficile"- non avrebbe meritato ben altra distribuzione?
pier91  27/10/2012 14:07:09Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
37 copie in tutta Italia, ma come si fa?

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Invia una mail all'autore del commento LukeMC67  27/10/2012 14:47:16Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi


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pier91  27/10/2012 19:13:05Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Credo che una buona fetta del grande pubblico possa essere "educata" anche a questo cinema. Ma così è impossibile, poi non so quale sia la situazione nelle altre regioni.
Comunque io sono Chiara e studio a Macerata !
gianni1969  28/10/2012 00:22:21Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
la situazione non e' piu' rosea in romagna,con due sale a disposizione,una a rimini e l'altra a ravenna,ovviamente non multisala. per quanto riguarda pieta' di kim ki duk,qui a rimini neanche l'ombra. tocchera' accontentarsi del dvd
Crimson  29/10/2012 14:58:00Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
La Teodora oggi in una nota ufficiale scrive : "Considerata la grande richiesta degli esercenti, il film raddoppierà le copie a partire dal prossimo weekend.".
Il film sta andando benissimo. Io l'ho visto ieri ed è un capolavoro.
pier91  29/10/2012 21:56:48Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi


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