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E' STATO IL FIGLIO regia di Daniele Ciprì

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Invia una mail all'autore del commento tylerdurden73     8 / 10  06/09/2013 10:42:02Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Daniele Ciprì, in solitaria dopo le tante polemiche con Maresco, contamina la nota inclinazione al surreale con poderosi squarci di barbara civilizzazione basati su una società indigente, costretta a fare anche della tragedia un mezzo attraverso cui (soprav)vivere.
La cornice astratta è quella di un ufficio postale dove un uomo (il cileno Alfredo Castro) ama passare il tempo elargendo aneddoti ad una platea occasionale, per lo più poco interessata.
La famiglia Ciraulo è al centro del suo narrare in una Palermo invisibile, costituita da cantieri navali in disarmo e vicoli talmente stretti da risultare quasi inagibili. Qui fioriscono mafia e laidi usurai, che con l'inettitudine del capofamiglia Nicola vanno a braccetto. Toni Servillo è eccessivo ma splendidamente in parte, attorniato da un cast altrettanto elogiabile.
A tradire l' origine del regista c'è "Cinico tv", a risplendere timidamente qua e là tra apparizioni grottesche e battute al sapore amaro, mentre l'impegno è lodevole nel definire il triste parallelo con una storia di qualche anno fa che si può tranquillamente equiparare all'oggi. La "roba", di verghiana memoria, continua ad attirare tante stupide gazze con i suoi infidi luccicchii, la punizione per queste (forse divina) non tarderà ad arrivare. Lucrare su un dolore che nemmeno tutto l'oro del mondo può cancellare è indecente, soprattutto se il denaro viene utilizzato nella maniera più demente che si possa escogitare.
La spirale di meschinità spinge sempre più verso il basso sino a raggiungere un finale straordinario in cui Nonna Rosa (Aurora Quattrocchi, posseduta peggio di una megera durante un sabba) si tramuta in capobranco e per salvaguardare il proprio mondo si rivela stratega dalla spietata intelligenza.
Il materialismo viene cancellato dallo scorrere del sangue e la denudata brama di possesso si rivela in tutta l'oscena futilità.