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THE WOODSMAN - IL SEGRETO regia di Nicole Kassell

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Invia una mail all'autore del commento kowalsky     7 / 10  22/04/2005 23:33:56Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
"Dunque mi ritrovo a vincere le desistenze e la mia proverbiale intolleranza e a vedere questo film. In realtà non sono contro i film che affrontano queste tematiche, ma detesto i trailers quando esaltano la prova dell'attore a sè stante, per il coraggio di interpretare un ruolo tanto scomodo e ripugnante, il che porta a ritenere che dopotutto il coraggio pero' premia anche l'attore e la sua vanità. Ebbene...
nessun dubbio su Bacon qualcuno sul film Ma mi devo ricredere: l'ottimo esordio della kassell forma - con il nichilismo rozzo ma nobile di Monster, la giostra dei ricordi infantili di Mystic River, l'aplomb cronenberghiano di The Machinist (la fabbrica del legname sembra vivere gli stessi impulsi distruttivi, lo stesso disprezzo empatico dei colleghi) e la discesa nel maelstrom schizoide di Sean Penn in Assassination una quaterna perfetta dell'origine e lo sviluppo del Male Umano. Ma la Kassell ha evitato ogni sentimentalismo o inquisizione, cosa rara per un tema del genere, mettendo in luce il dono (o l'ossessione) dello sguardo... quello elusivo che precede un'azione violenta, quello che decodifica l'eccesso per autodifesa dell'autore (come in Assassination), quello di una mancata rimozione pensando forse a Hitchcock. Straordinario il momento in cui il poliziotto capisce contemporaneamente che Walter è l'autore del pestaggio e quindi non ha più senso nè giustizia scaricarsi contro di lui. Il cinema di the Woodsman punta al realismo, anche crudo, senza allietare lo spettatore. Ma non si prova nè pietà - cosa difficile - nè tantomeno acrimonia o odio per Walter, tutto è girato nel tentativo ben più persuasivo - e direi perfettamente riuscito - di collocare l'azione al primo posto. Per questo lo spettatore sa che di un pedofilo recidivo è bene non fidarsi, ma altrettanto prova uno stato di tensione infinito, fino alla fine, sperando soprattutto che per nessun motivo il protagonista arrivi a replicare le sue antiche aggressioni. Evita tutti i luoghi comuni, la Kassell, ma li immette soltanto nel dissenso popolare, evocato da Lewis Carroll e da caramellai, che - paradossalmente - proprio walter insignisce della loro spregevole nomea. Tutto il ritratto che ne fa evoca un mondo troppo presente con se stesso per guardarsi attorno e proteggere i propri bambini: una citta' chiusa nel suo squallido grigiore quotidiano, dove il potenziale mostro conta i 110 passi che lo separano dal luogo delle tentazioni, gira per i bus verso casa a meno che non decida di scendere prima (ultima fermata inferno), demonizza i suoi istinti e li domina, ma soltanto quando li incoraggia sa di poterci rinunciare per sempre. Particolare curioso, i nemici hanno talvolta la pelle nera (il poliziotto e una collega) Non si puo' generalizzare, ma non sarà mai che la kassell abbia voluto suggerire una neanche troppo velata accusa razziale? Dopotutto, costui rappresenta snche una temibile ragione di potenza e prevaricazione sul dominio dell'uomo bianco. Ma mentre all'inizio nel difficile reinserimento sociale di Walter assistiamo a frasi un po' da ultima Jane Campion ("qual'è la cosa peggiore che hai fatto?" - "quando tornero' normale?" ) in seguito la kassell non fa del protagonista solo un reietto condannato a un'imminente fine (non importa quale) Ne esibisce la sopravvivenza: quella che - in un momento di lucidissimo e crudele tentativo di molestia con una bambina, la piccola gli confessa delle "attenzioni" subìte dal padre. E' la scena del film che ha richiesto diversi giorni di lavorazione, ripetuta varie volte e che pone Walter a un interrogativo terrificante sul suo enorme peccato, e la vittima nel ruolo ancora più traumatico della "figlia" che in lacrime reclama attenzioni diverse. non dico altro per il pudore e per lo sdegno che il ricordo di quella scena ha provocato in me. Ovviamente c'è dell'altro ma è di gran lunga l'unica pecca del film: è troppo costruito tutta questa confessione di incesti e vaghi desideri per la sorella, padri e figli/e pedofilia etc. o troppo analitico nel senso di Freud. Eppure cio' che conta non è tanto quanto noi assistiamo a un mostro che sta cercando di ridare un senso civile alla sua vita, ma al fatto che non gli crediamo fino in fondo. E la sua rivincita morale non è neutralizzante ma concreta, lucidamente va incontro alla malattia e alle trappole della propria immagine, riuscendo a trarne la giusta ripugnanza per odiare quel rovo segreto di se stesso. Un Mostro troppo libero e normale per non suscitare sgomento. Un Bacon insuperabile quando scava con lo sguardo nelle sue nevrosi, al quale un personaggio apparentemente antitetico come quello di Monster deve certamente qualcosa