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DJANGO UNCHAINED regia di Quentin Tarantino

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JOKER1926     8 / 10  05/06/2013 02:35:00Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
C'era una volta un regista esclusivo ed esplosivo, Quentin Tarantino.

Tale regista fu, negli anni novanta, l'autore di film unici e spettacolosi, col tempo, le necessità economiche imposte dalla "movida" cinematografica hanno cambiato, o forse amplificato, in modo sovrabbondante, una regia che sapeva il fatto suo.
Dopo prodotti abbastanza discutibili, l'ultimo "Bastardi senza gloria", il vecchio maestro, Quentin, riprende il volo verso l'alto con "Django". La notizia non solo fa impazzire i fans del regista, questi son sempre contenti a priori, ma anche quella schiera di freddi critici; i giochi sono portati al termine con sagacia, con intelligenza.
Non esiste, in pratica, miglior spaccato, miglior preambolo per lodare, fino alla fine, un film di grandissima prominenza e di totale riuscita.
"Django" più che come semplice prodotto cinematografico si identifica nel concetto di "operazione" commerciale cinematografica; le cose già cambiano. Tarantino deve mantenere alto il nome dell'immagine, caotica e debordante, ma al contempo, deve colpire i più "freddi" e pacati spettatori anche (e soprattutto) con una sceneggiatura che aiuti pienamente i circuiti narrativi; l'impresa (non semplice) riesce nel suo massimo splendore; il tutto gira alla perfezione e ben presto, se non subito, "Django" implode in un disegno sublime ove i ritmi forsennati e l'architettura astrale della scena prende il cuore dello spettatore per non mollarlo mai, fino all'ultimo goccia di sangue, in ogni senso.
Infarcito e arroccato intorno a nomi pesanti, si va da Jamie Foxx al prodigio Leonardo Di Caprio, il film non ha punti deboli e con una carrellata di musiche varie, spettacolari e pompanti, la corteccia critica diventa sempre più sottile, quasi inesistente.

Appurato il grande disegno tecnico di Tarantino, senza dimenticare, ovviamente, il meticoloso e mitico montaggio della scena con inquadrature che definire tracotanti non rende giustizia al regista, l'operazione cinematografica guadagna sempre maggiore credito.
A fare la differenza quindi, come detto, una storia di avventura fra scenari Western e fra episodi collimanti in conclusioni perfide, estreme e violente. I personaggi si avvalgono di un empatia totale, su tutti forse il cacciatore di taglie, personificato da Christoph Waltz, e rimangono nella mente; ma questa oltretutto è la peculiarità di Tarantino, ovvero gli attori rendono alla grande grazie ad una combinazione artistica eccezionale, il copione (fra dialoghi incredibili e pose esilaranti) porta gli attori ad esaltarsi ed andare, alle volte, aldilà del loro stesso talento.

"Django" nonostante la sua durata impressionante non ha alcuna "divisione" , insomma qui non esiste la prima parte o la seconda, esiste solo una eruzione vulcanica di immagini, colori e sangue cronica e mai sazia, fino ad un finale simbolo di una sfacciataggine unica e impareggiabile. Questa è l'estetica del Cinema che a differenza di altri registi è sorretta anche dal ritmo, ovvero la base teoretica dell'intrattenimento.
A volte ritornano… (Si rivede Quentin Tarantino)