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CHERNOBYL DIARIES - LA MUTAZIONE regia di Bradley Parker

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Quarta Zona     4 / 10  02/08/2015 14:41:41Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Kafka, gli zombie e l'eroina.

Premessa propedeutica. * scorrere fino all'asterisco per passare al commento del film

Erano gli anni '90 e la vita scorreva lenta e monotona nell'estrema provincia milanese. Mentre la società post-ideologica muoveva i primi passi e ben presto la globalizzazione avrebbe azzerato qualsiasi distanza tra quelle zone dimenticate da Dio e le città totalitarie (metropoli), l'eroina sembrava vivere una "Neue Welle".
Ricordo che attraversare il sentiero dietro casa era come affrontare una corsa ad ostacoli tra le siringhe abbandonate, talvolta capitava pure di imbattersi nel fratello più grande e drogato di qualche compagno di scuola.
Tra il mio quartiere e il bosco, quasi come a delimitare un confine immaginario, si ergeva una vecchia fabbrica ormai abbandonata da più di trent'anni.
Per tutti noi bambini era semplicemente il "Castello", un colosso di cemento, ferro e vetro che bisognava costeggiare per lasciare il paese e raggiungere il polmone verde conosciuto con il nome di "Parco del Ticino".
Quell'enorme e sinistra costruzione era al centro di numerose leggende, si partiva dalle classiche storie di fantasmi per arrivare addirittura alla tragedia di tre bambini che vi avevano messo piede per poi non fare più ritorno.
Inutile dire che non ebbi mai il coraggio di entrarci, non fino all'adolescenza.
Ricordo perfettamente quel giorno in cui mi vestì come un bonzo per entrare a corte… insomma il giorno in cui visitai il Castello. Percorsi il grande muro scrostato per un centinaio di metri, poi mi addentrai tra gli alberi fino a raggiungere la parte posteriore, quella nascosta dalla vegetazione. Là dietro trovai un altro cancello, era molto più basso di quello enorme e arrugginito che faceva da ingresso principale, fu un vero gioco da ragazzi scavalcarlo.
Ero dentro, finalmente ce l'avevo fatta! Attraversai, non senza difficoltà, l'erba alta e le piante che si stavano mangiando il retro della fabbrica e giunsi al centro del Castello, una specie di grande piazzale, circondato su tutti i quattro lati da enormi capannoni, o meglio, dallo scheletro di quei prefabbricati (pare che negli anni sia stato utilizzato anche come deposito di autobus). Era proprio come l'avevo sempre immaginato: ruggine, lastre di amianto, porte e finestre rotte, cocci rotti dappertutto etc.
Rimasi qualche minuto a osservare le piante che avevano spaccato il cemento sotto ai miei piedi, quando sentì un rumore simile a quello dei passi sopra ai ciottoli. La paura prese il sopravvento, iniziai a correre tra i capannoni per raggiungere il piccolo cancello sul retro, ma a un certo punto mi trovai davanti un gruppo di persone dal viso pallido e i vestiti sporchi... zombie?!? Macché! Erano semplicemente un gruppetto di eroinomani della zona che avevano eletto il Castello a proprio quartier generale. Quei disperati mi dissero di andarmene immediatamente e non farmi più vedere ed io, ovviamente, non me lo feci ripetere una seconda volta.
Quella fu la prima e ultima occasione in cui provai il brivido di entrare nel Castello. Da lì a poco avrei letto uno dei miei libri preferiti, "Il Castello" di Franz Kafka. Gli strani intrecci della vita.


* Chernobyl Diaries – La mutazione. ATTENZIONE SPOILER SELVAGGIO

La trama è molto semplice. Un gruppo di turisti americani in giro per l'Europa – Chris, la sua fidanzata e un'amica dei due – decidono di fare tappa a Kiev, dove il fratello di Chris, Paul, si è trasferito da qualche anno. I tre hanno pianificato di passare lì la notte per poi ripartire alla volta di Mosca, ma Paul, invece, li convince a partecipare ad una "gita estrema" a Pripyat, la cittadina sorta per ospitare i lavoratori della centrale di Chernobyl. I tre accettano e il giorno seguente si recano in agenzia, dove li aspetta la guida, Yuri, un amico di Paul; insieme a loro c'è un'altra coppia, quindi optano per un pulmino. I sette raggiungono il checkpoint della cittadina, ma i militari li informano che per delle manutenzioni in atto le visite sono sospese; Yuri non demorde e prende una strada secondaria. I ragazzi raggiungono il centro di Pripyat e iniziano a visitare i vari angoli della città fantasma, ma a un certo punto si accorgono di non essere soli, quindi decidono di ripartire. Purtroppo il motore del pulmino la pensa diversamente...

Il film si apre con i titoli di testa più inquietanti di sempre, una musica angosciante accompagna la scritta bianca su sfondo nero che ci ricorda chi ha distribuito il film in Italia: Marco Dell'Utri, il figlio del famigerato Marcello Dell'Utri (ho capito, è un horror psicologico). Per fortuna gli attimi di terrore iniziali vengono spazzati via dalla canzone "Alright" dei Supergrass e da una serie di pessime battute e gag a sfondo sessuale (forse mi hanno rifilato il nuovo capitolo di American Pie). Non so, probabilmente inizio a rimpiangere Dell'Utri, tant'è vero che i seguenti dieci minuti sono la classica fiera della bieca ignoranza americana nei confronti dei popoli dell'est, dove i luoghi comuni si sprecano - la gente è scontrosa, diffidente e maleducata; gli uomini sono mandrie di alcolizzati e attaccabrighe; le ragazze si concedono al primo che passa.

Finalmente si va a Pripyat e le cose cambiano. La ricostruzione della città è veramente degna di nota, sembra davvero che il film sia stato girato lì e i luoghi più importanti sono talmente fedeli a quelli reali che un appassionato non può che apprezzare il lavoro svolto.
Ora c'è il rovescio della medaglia. Se è vero che da un lato l'ambientazione suggestiva e realistica è un punto forte sotto l'aspetto visivo, dall'altro è altrettanto vero che costringe lo sviluppo delle vicende a una serie di forzature più o meno sopportabili. Tra le trovate più stupide:
- I quattro decidono di visitare Pripyat e il giorno dopo (il giorno dopo!!!) ci vanno.
Ma come?!? E la prenotazione con 30 giorni d'anticipo che chiedono a tutti i comuni mortali? Le documentazioni necessarie?
- Yuri e gli altri vengono respinti al primo checkpoint, quello che immette nella "zona di alienazione" (a ben 30 km dalla centrale), ma decidono di prendere una strada alternativa e gabbare i soldati.
Eh? Percorrono 30 km in una zona sotto controllo militare, così, tanto chi se ne potrebbe accorgere?!? D'altronde ci sono soltanto altri checkpoint sul percorso (un altro è a 7 km dalla centrale) e le strade secondarie sono chiuse con blocchi di cemento!
Inoltre, la zona è sì disabitata, ma non deserta (centinaia di addetti lavorano ogni giorno alla messa in sicurezza).
- Yuri ha detto che ora possiamo tornare a casa.
Bene, immagino che avranno in mente di andarsene nella stessa maniera in cui sono arrivati, ovvero senza nemmeno sottoporsi alle visite mediche all'uscita (dai, il nullaosta all'entrata è una formalità, ma l'obbligatoria doccia antiradiazioni all'uscita no). Ottima idea, davvero.
- La conclusione della passeggiata.
Ora vi faccio una domanda: ma secondo voi, camminando e camminando, dove saranno arrivati i nostri amici? Esatto! Per venti minuti ho sperato che non arrivassero lì, ma qualcuno ha pensato bene di farli sgambettare per ben 3 km dal centro di Pripyat in direzione della centrale di Chernobyl.
Gesù, devi abbandonare una zona contaminata, infestata dagli zombie e tu che fai? Ti muovi in direzione del reattore?!?
E la cosa peggiore è che la scelta sarebbe giustificata, ma solo nella mente bacata del regista, dalla presenza di due lupi che bloccano la strada giusta. Vero, due lupi sono troppo pericolosi per un gruppo di persone, meglio affrontare gli zombie e l'esposizione a dosi di radiazioni (sievert) sempre maggiori.

Hey, guarda! Arrivano gli zombie! Gli zombie! Visto? A nessuno frega niente degli zombie.
Le ambientazioni, come dicevo sopra, sono il punto forte del film. Non è un caso che la suspense sia presente soltanto mentre gli americani se ne vanno a spasso per la città fantasma, ma si dissolve in un attimo non appena si fa notte e i nostri (i loro) vengono assediati dai non morti.
Da qui in poi la noia prende il sopravvento e si assiste tediati alla dipartita di questi giovanotti imprudenti e privi di qualsiasi abbozzo di caratterizzazione (cosa che impedisce di sviluppare empatia verso i protagonisti).
Il finale è buttato lì a caso, forse vorrebbe giustificare quanto visto in precedenza o aggiungere un pizzico di mistero e brivido in più, molto più probabilmente non funziona e basta.

Un "The Blair Witch Projet" in salsa radioattiva fino a un certo punto, poi peggiora.

Voto 4