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NEL NOME DEL PADRE (1971) regia di Marco Bellocchio

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Invia una mail all'autore del commento Elly=)     9 / 10  06/04/2012 23:20:49Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
NEL NOME DEL PADRE è principalmente un esperimento sul metalinguaggio che fa perno sulle lezioni di Godard e non solo, infatti i linguaggi che Bellocchio utilizza potrebbero essere citazioni, omaggi, usi comuni. In questo film troviamo gli infiniti dialoghi di Lemmon e Matthau, il moralismo di Schnitzer, il grottesco di Durrematt, l'istrionismo dei personaggi come Ophuls e perché no a tratti anche il THE FORTUNE COOKIE di Wilder. Rifacendosi leggermente al teatro, i suoi sono decisamente linguaggi studiati che vanno in parallelo con i temi impegnati, maturi. Temi cari al regista come la follia e la razionalità (presenti molto negli anni a seguire), il desiderio e la repressione (qui intesa come potere). Un potere che assume diverse forme e si presenta nei diversi conflitti famigliari insieme alla figura rappresentativa dell'allegoria bellocchiana: il servo. Sfruttamento e ribellione, repressione e fantasie erotiche, decadenza e reazione, vecchio e nuovo, tutte contrapposizioni angoscianti che portano ad una rappresentazione articolata. Una dinamica completamente interna dove tutto avviene nel silenzio lontano dalla realtà, quelle grida nevrotiche spezzano quel silenzio che c'era nell'aria confessando inevitabilmente la realtà. Una realtà che è fatta appunto da servi e padroni dove l'unico modo per fuggire è la ribellione. I servi sono interpretati dalla figura di Salvatore (emarginato e sfruttato) e i padroni sono incarnati dal vice Corazza (legato all'educazione del passato), mentre gli studenti, in particolare Angelo (personaggio leader proveniente da una famiglia borghese), sono la ribellione.
Esaminando la situazione di Angelo possiamo notare come lui non sia solo il leader di adolescenti esuberanti ma la sua è una presa di posizione più profonda: è una rivoluzione in quanto critica l'inefficienza economica e in quanto si ribella alla famiglia, in particolare al padre. Già dalla scena dei campanelli si intuisce quest'aria rivoluzionaria dove Angelo si contrappone al prete, lanciadogli quasi una sfida. Le inquadrature scure, il silenzio, i PP, la voce schietta è un sussurro, un ambiente che crea un'atmosfera confessionale. Ed è proprio in questa scena, in questa sottospecie di confessione, che lo spettatore capisce la psicologia dei personaggi. Angelo ha problemi con le figure maschili, come il padre e Corazza, e non con quelle femminili contrariamente a quello che succede in altri film, per citarne due, PUGNI IN TASCA, MARCIA TRIONFALE o ad altri personaggi di questa pellicola, come nel caso di Frank. Indimenticabile, credo, la scena in cui i ragazzi chiusi in camera discutono e la madre del ragazzo li interrompe contrariamente in quanto non riesce a staccarsi dal proprio figlio, presa da una tremenda ossessione e lui in una ribellione epocale, la insulta e le punta la pistola contro minacciandola, Frank esplode e si apre come un fiore ma in modo molto violento, diventando immorale, facendo uscire la sua omosessualità, il piacere di essere schiavo, rompendo definitivamente il rapporto materno.
Corazza sa benissimo che Angelo ha ragione ma tace nella malinconia e nel silenzio, sforzandosi di proteggere un mondo che sa essere sbagliato, controproducente. C'è un'atmosfera di decadimento dove c'è il leader in crisi e quello in ascesa, dove gli atteggiamenti fisici portano ad un vicolo cieco.

Nel film di Bellocchio si parla anche di religione e la recita è il pretesto giusto per parlare di Dio e del Diavolo ma ne siamo davvero sicuri? In realtà la recita è un inganno, come lo stesso teatro, il regista veneto va ben oltre, scava in modo profondo per sotterrare una verità che rimane quasi nascosta: il sesso. Nella recita si sente Freud, tutte le paure, le allusioni che avvengono in funzione liberatoria tramite esso. La scintilla che ci fa capire questa verità è tutto l'atto della recita che si divide in tre parti che poi sono le tre parti dell'analisi freudiana sulla psiche: il super-io, l'io e l'es, con citazioni a Faust, Jago, l'Innominato e il dialogo tra Don Chisciotte e il Commendatore. Nel frattempo vediamo che non siamo l'unico pubblico, ma Bellocchio inserisce anche il pubblico formato dai preti dove vengono a galla contraddizioni e simbolismi, riuscendo a mettere per l'appunto lo spettatore dietro allo spettatore.
E a proposito di simbolismi, vediamo come questo film sia pregno di allegorie, probabilmente NEL NOME DEL PADRE è in assoluto il film bellocchiano con maggior simbolismo. Oltre a tutto ciò, pure i nomi gli oggetti assumono una funzione simbolica caricaturale, Le uniche cose reali che non hanno funzione allegorica sono l'autostrada e le riprese dei funerali del papa. Oggetti simbolici come la macchina che negli anni '50 in Italia assume un significato particolare, non è solo mezzo di sviluppo ma rappresenta anche lo stesso regista. Il viaggio (e non la fuga) verso il mondo vivo, la presa di potere da parte della ragione anche se la discussione tra i due è assurda e con questa fa rimanere il finale aperto, libero all'interpretazione. Oggetti simbolici come il pero che viene abbattuto così come viene abbattuto il vecchio per lasciare posto al nuovo.
Il film non è solo carico di simbolismi, citazioni, temi classici ma è anche un'autobiografia. Il regista inserisce veri e propri rimandi alla sua infanzia e alla sua adolescenza. Già il fatto di ambientare la storia all'interno di un collegio è una prova del suo passato che si rispecchia dentro queste mura. La repressione, la borghesia, la mediocrità, il potere, la preparazione per la classe dirigente. Un passato che non è passato ma che si rivela presente, un presente che si rifà a simbolismi, un presente dove assume la figura di uomo che continua imperterrito contro l'istituzione religiosa, denunciandola tramite alti atti provocatori.