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AGENTE 007 - SI VIVE SOLO 2 VOLTE regia di Lewis Gilbert

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Dom Cobb     8 / 10  03/05/2012 14:43:31Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Finalmente una ventata d'aria fresca. Dopo l'irritante pesantezza e prolissità di Thunderball il cambio di regia ha come conseguenza cambi positivi: l'atmosfera leggera e briosa, un sacco di belle idee che però non sfociano nell'improbabile come accaduto in Goldfinger


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e risultano davvero godibili. L'ambientazione giapponese da invece quel tocco di fascino in più che non guasta. Il cast è ben assortito, con un sempre volenteroso Connery costretto a vedersela con un inquietante Donald Pleasance in grado di eguagliarlo in bravura. Un po' noiosa invece la canzone iniziale, ma d'altra parte, dopo la travolgente voce di Tom Jones nel precedente film era impossibile fare qualcosa di ugualmente accattivante. Comunque, questo è l'unico difetto di una pellicola che non stanca neanche dopo la millesima volta.
Dom Cobb  17/01/2022 15:53:02Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Uno shuttle americano in orbita viene catturato da una misteriosa capsula: mentre gli americani danno la colpa ai russi e la tensione fra le due superpotenze sale vertiginosamente, James Bond viene mandato a indagare in Giappone, dove a poco a poco emerge un terrificante piano per scatenare la terza guerra mondiale...
A metà degli anni '60 la saga di 007 ha raggiunto un livello di popolarità che non verrà mai più replicato in futuro, neanche dall'era Craig: il merchandise ha invaso il mercato e il personaggio è diventato iconico quanto il suo interprete, il quale si ritrova sotto i riflettori come mai prima d'ora. Tutto ciò avrà i suoi effetti, ma per quanto riguarda i film, essi godono di budget ormai notevoli che gli permettono di scatenarsi con idee ed esecuzioni sempre più stravaganti.
"Si vive solo due volte" è, fra i primi Bond, senz'altro il più spettacolare e quello dove i soldi investiti si vedono maggiormente sullo schermo: fin dalla sequenza prima dei titoli si respira un'aria da grande avventura di epiche dimensioni e si spinge il pedale sul lato tecnico, dove la fanno da padrone le magnifiche scenografie di un Ken Adam in stato di grazia, che hanno contribuito a stampare questo film e la saga intera nell'immaginario collettivo,


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ed effetti speciali artigianali, senza dubbio inadeguati a realizzare idee forse un po' troppo ambiziose per i tempi, ma che nella loro ingenuità anticipano di quasi un anno le meraviglie offerte da Stanley Kubrick nel suo rivoluzionario "2001: Odissea nello spazio".


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La regia cambia di nuovo, passando alle mani di Lewis Gilbert, che in seguito dimostrerà di prediligere l'avventura di grandi proporzioni e scontri in scenari quanto mai insoliti. A guadagnarne maggiormente sono le scene d'azione, mai così in grande ed elaborate: la location nipponica viene sfruttata al massimo, con maestosi paesaggi fotografati dal premio Oscar Freddie Young (fedele collaboratore di David Lean) e di fronte a essi si consumano inseguimenti a piedi, in macchina o macchinari volanti superaccessoriati come la deliziosa "Piccola Nelly", impreziositi da una brillante fotografia aerea e anche qualche interessante virtuosismo registico.


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Si adeguano anche le musiche di John Barry, che prendendo spunto da una canzone dei titoli onestamente alquanto soft tesse melodie ora suadenti, ora cupe e imponenti, fra le quali spiccano su tutte quelle delle scene di countdown.
Tutto questo è capace di compensare alcuni difetti che di tanto in tanto si fanno notare; il ritmo è altalenante, pimpante e rapido nella prima ora, per poi frenare all'improvviso nella seconda, e sebbene si riprenda con una battaglia finale da lasciare a bocca aperta lascia comunque un'impressione negativa per come si concede a sottotrame di cui non si sentiva la necessità, forse un modo per integrare un po' di cultura giapponese nella storia;


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merito della sceneggiatura di Roald Dahl (sì, quel Roald Dahl) piena di idee ma abbastanza grezza e colma di ingenuità che tradiscono una certa inesperienza. I dialoghi sono diretti e quasi tirati via, con il solo scopo di mandare avanti la trama senza permettersi divagazioni capaci di dargli un po' di pepe e personalità, per non parlare dell'umorismo, qui ai minimi storici se non si contano le risate involontarie.
Va detto inoltre che se il cast di contorno se la cava con efficienza, pur senza brillare, l'anello debole è proprio Sean Connery, che spesso e volentieri da un'impressione stanca e al limite dello svogliato: gli effetti dell'eccessiva popolarità si fanno sentire e non è sorprendente il fatto che abbia abbandonato il ruolo subito dopo (prima di tornare ben due volte, ma questa è un'altra storia). L'unico momento in cui si intravede vitalità è durante l'incontro col cattivo di turno,


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interpretato da un inquietante Donald Pleasance con tanto di cicatrice all'occhio. Il loro breve ma incisivo duetto e l'alta qualità della confezione riescono ad elevare un episodio altrimenti abbastanza sottotono della saga su livelli di godimento più che accettabili, facendo trascorrere due ore scarse in assoluto divertimento. Sebbene un po' invecchiato e colmo di ingenuità, si lascia guardare benissimo e, di tutti gli ufficiali canti del cigno di Connery, primo e per molti imbattuto 007, rappresenta senza dubbio il migliore.


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