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007 - IL DOMANI NON MUORE MAI regia di Roger Spottiswoode

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Dom Cobb     5½ / 10  07/05/2012 17:42:14Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Mmmm...così non andiamo. Dopo il non esaltante ma neanche deludente esordio in Goldeneye, l'attesa si risolve in quello che mi azzardo a definire un mezzo passo falso. Il cambio di regia da Campbell, ancora novellino, a Spottiswoode, regista con più esperienza ma tutto sommato mediocre, non ha apportato grossi cambiamenti e Il domani non muore mai si rivela peggiore del precedente sotto vari aspetti. Brosnan a parte, sempre a suo agio, il problema principale è lo script: revisionato in pochissimo tempo a causa di problemi di locations, il copione affastellato da un disperato Bruce Firestein ha completamente sconvolto la storia originale, che doveva essere sicuramente interessante, ma di cui qui non si vede nulla. In fondo, si va solo da una scena d'azione all'altra(di cui qualcuna troppo lunga e rumorosa), intervallata qua e là da qualche scappatella amorosa. Perfino i villain non convincono, non perché siano sottosfruttati, ma per quanto sono esageratamente sopra le righe, cui il doppiaggio italiano da un valido "contributo". Certo, il lato tecnico è curatissimo, ma forse occorreva inserirci anche un po' di emozione in questo mare di freddezza emotiva...


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Dom Cobb  16/08/2023 19:24:14Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Una nave da guerra inglese viene apparentemente affondata da alcuni aerei cinesi in acque internazionali, scatenando una crisi che potrebbe portare a una terza guerra mondiale. Chiamato a indagare, James Bond scopre che dietro a tutto c'è Elliott Carver, magnate dei mass media che ha fabbricato la crisi proprio per sfruttarla mediaticamente e accrescere i suoi profitti...
All'alba del successo di "Goldeneye", James Bond è tornato sulla bocca di tutti, più forte e inarrestabile che mai. Grazie alla rinnovata popolarità di cui gode presso la critica e il grande pubblico, la produzione di un nuovo episodio viene messa in cantiere a un ritmo talmente elevato da tramutare la sua realizzazione in un inferno, tra riscritture varie, tabella di marcia ristretta e cambiamenti dell'ultimo minuto. Il risultato fa ancora faville al botteghino, specie considerando la concorrenza del coevo "Titanic", ma ad oggi risulta uno degli episodi più dimenticati del franchise.
Personalmente, posso capire perché: al netto di un solido tasso di intrattenimento, infatti, tracce della produzione travagliata si vedono nel prodotto finale in più di un punto, tanti piccoli particolari che, messi insieme, minano alla base una storia dal grande potenziale.
Archiviato per il momento Martin Campbell, gli subentra il misconosciuto Roger Spottiswoode, poliedrico mestierante dalla variegata filmografia ("Air America", "Fermo o mamma spara", "A spasso con Bob", "Il sesto giorno", "Turner e il casinaro") che, pur mancando di un'impronta che si possa definire autoriale, fa un lavoro più che dignitoso; il suo merito maggiore è premere il pedale dello spettacolo sfrenato, allineandosi alle mode del cinema d'azione anni '90 con i suoi capisaldi come James Cameron e Michael Bay, e un ritmo spedito con quasi nessun momento morto.
Questo approccio ha i suoi pregi e difetti: se da una parte l'azione è girata ottimamente e spesso esaltante, dall'altra essa è così frequente e fracassona da mettere in ombra tutto il resto, a cominciare da una trama che definire striminzita è dir poco. Fin dall'inizio si sa chi è il colpevole e qual è il suo obiettivo, togliendo di fatto qualunque pretesa di tensione o mistero alle indagini; e i dialoghi e lo humor non sono sufficienti a controbilanciare o perché non gli vengono dati abbastanza attenzione o perché mancano di mordente. Lo stesso vale per la trama, che pur di lanciarsi da una sequenza pirotecnica a un'altra appiattisce numerosi snodi fondamentali.


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Ne escono inevitabilmente segnati i personaggi, grazie anche ai tiepidi dialoghi e ai tentativi di inserire dell'umorismo tipicamente bondiano, che invece risultano sorprendentemente forzati e fuori posto, forse perché troppo espliciti e per via di battute troppo blande. O forse anche per la prestazione di Brosnan, a suo agio come al solito ma un po' troppo spaccone e che richiama troppo l'attenzione sulle sue freddure, anziché esprimerle con naturalezza e nonchalance.
Ma forse la parte peggiore è che viene messo in campo un tema oggi ancora più rilevante di allora, cioè il potere smisurato dei mass media, e viene reso con una mancanza di sottigliezza che francamente da fastidio. La tematica viene espressa in caratteri cubitali più e più volte, mettendo in bocca ai personaggi battute ovvie o monologhi che danno l'impressione di ritenere il pubblico troppo idiota per arrivare al succo da solo. E Jonathan Pryce, che è un bravo attore, è così sopra le righe da risultare fuori posto per quanto è cartoonesco, specie quelle poche volte in cui tenta di essere più controllato e minaccioso.


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Il resto del cast svanisce un po' sullo sfondo, tra un Gotz Otto noioso muscolo alto e biondo, uno sprecatissimo Ricky Jay e una Teri Hatcher virtualmente invisibile. L'unica a cui viene concesso di ritagliarsi un po' di spazio è Michelle Yeoh, la cui prestazione fisica comunque vale più del ben poco carisma offerto dal suo bidimensionale personaggio; perfino il simpatico Joe Don Baker nel ruolo dell'agente CIA Jack Wade, viene relegato al ruolo di buffone, rievocando quanto accaduto a suo tempo con lo sceriffo Pepper. L'unico a cavarsela è il mitico Vincent Schiavelli, che con una sola scena si ruba tutto il film.


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Perciò, l'intero film si poggia sulle già citate sequenze d'azione che, almeno fino a un certo punto, reggono bene la baracca. Sono infatti veloci, spettacolari e traboccanti di creatività, grazie anche all'uso di alcuni fra i migliori gadget che la serie abbia mai offerto (un plauso al compianto Desmond Llewelyn, qui alla sua penultima apparizione, per una delle "sequenze Q" più divertente di tutte).


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Peccato allora che il meccanismo si inceppi negli ultimi quaranta minuti, quando l'azione già onnipresente continua ancora e si inizia ad avvertire un crescente senso di stanca, che culmina in un finale sparatutto troppo lungo e davvero noioso. Tanto che la dipartita finale dei villains giunge senza un battito di ciglio, ormai è rimasto giusto il desiderio che tutto questo chiasso finisca presto.
La bombastica colonna sonora di David Arnold non aiuta certo in tal senso e il film non può neanche contare su un lato visivo particolarmente brillante, tra una fotografia fredda e plasticosa del solitamente bravo Robert Elswit e scenografie metalliche e poco ispirate di Allan Cameron, che per questa volta sostituisce l'occupato Peter Lamont.
In effetti, la canzone dei titoli descrive alla perfezione l'essenza del film: di per sé non è male, peccato però che venga eseguita da una cantante (Sheryl Crow) con quella voce che fa molto autotune, elettronicamente corretta. Ciò toglie qualunque senso di calore o gradevolezza alla melodia, lasciando un prodotto sì tecnicamente valido, ma anche un po' sottotono e che, in fin dei conti, non si lascia dietro molto.
Voto: 6 e 1/2