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TO ROME WITH LOVE regia di Woody Allen

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Invia una mail all'autore del commento Davide Barberis     7½ / 10  27/05/2012 14:34:00Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Ci si chiede come buona parte della critica italiana, probabilmente già entrata nelle sale con una visione pregiudicata, possa sostenere su più fronti che in To Rome with Love emerga un Woody Allen "sotto tono" o "poco ispirato" e criticare una pellicola, probabilmente non inarrivabile come gli ormai classici e non-paragonabili suoi apici, ma comunque così ben riuscita nel suo genere e, a ben vedere, a cui difficilmente si può chiedere di più.
Fosse stata fatta in Italia, una commedia di questo calibro e statura verrebbe osannata assieme al suo regista e assurta a esempio alto degli ultimi anni del genere.
Possiede tutti gli ingredienti che fanno di una commedia (genere vivisezionato in tutti i modi da Allen e nel quale si riconferma un maestro) un'opera ben riuscita ed apprezzabile da molteplici punti di vista e sotto svariati aspetti (carente forse solo di quel lirismo commovente accostato a risate liberatorie, proprio esclusivamente di quelle commedie eccellenti e difficilmente arrivabili come è stata, per citarne una in Italia, Amici miei e alle quali non è opportuno e congruo accostare quest'opera comunque eccellente se si considera soprattutto che non era palesemente intenzione di questo Allen più farsesco provare a emulare tale lirismo e oltretutto che giunge dopo appena un anno dall'altrettanto buono Midnight in Paris). Una commedia leggera ma non superficiale, coinvolgente e ben articolata e, soprattutto, genuinamente divertente; un insieme come, se ci si pensa, di rado ultimamente si può vedere nelle sale cinematografiche.
- Leggibile a più livelli, ricca di significati e interrogativi intriganti e spesso ironici, neanche troppo sottintesi. Su tutti un'indagine nelle maglie del successo, della salvezza della (o dalla?) notorietà, del divismo all'acqua di rose; all'acqua di rose e mondana come la Roma romantica e turistica vista, più che vissuta, dai personaggi (in cerca d'autore) nelle quattro storie raccontate e narrata da un Allen (nei panni di Boccaccio), in quest'occasione anch'esso nuovamente attore e regista turista, a suo agio nelle città d'arte e d'amore come quelle dei capitoli scorsi: a partire dalla fredda Londra di Match Point fino alla magica Parigi, passando soprattutto per il, per certi versi affine, caldo e passionale Vicky Cristina Barcelona. Una Roma volutamente dipinta, stereotipata con tutti gli innumerevoli cliché del caso (dall'italianissima Vespa posteggiata in bella vista, ai set sempre caratteristicamente turistici, ai paparazzi all'erta nelle piazza mondane); una visione non sterilmente idilliaca e da cartolina sdolcinata, ma uno sguardo intenzionalmente stereotipato (a differenza per esempio della maggior parte delle commedie e dei melò italiani, a mo' dei drammaticamente "seri" baci inseguiti sotto la pioggia alla Muccino, che Allen non fa ingenuamente accadere e su cui ironizza, addirittura ambientando tali scene sotto lo sguardo di un giudice esterno terzo incomodo). Una consapevole ottica che sottende una critica acuta e neanche troppo velata (e qui ci si chiede come i recensori la colgano e apprezzino così poco) a chi altrettanto "alla leggera" adotta una tale prospettiva, ai protagonisti che vivono e vedono (più che guardano) Roma così da "toccata e fuga", superficialmente; come superficiali, aberranti e fondati sull'apparenza sono i desideri e le pulsioni giovanili (già toccate in Vicky Cristina Barcelona e ricorrenti nella filmografia alleniana) dell'attraente e puerile attrice americana Monica, la sensuale Ellen Page di Juno, e del ragazzo dell'amica ingenuamente invaghito di lei (genialmente "consigliato" dal suo alter-ego senile, reale o immaginario che sia, magistralmente interpretato dallo sguardo da divo consumato di Alec Baldwin); o di superficie è l'effimero "successo per il successo" dell'ottimo e a suo agio (nella parte ma non nella finzione) Roberto Benigni.
- Dinamicamente coinvolgente e ben congegnata e gestita, con una trama intrigante (e di intrighi) e sensibilmente più articolata che nel precedente capitolo, tanto da ritornare a un ritmo serrato e a una lunghezza ad esso più consona. Un ritmo degno del secondo filone dei suoi film frenetici di matrice newyorkese dai cast numerosi (come coi 10 personaggi principali più altri 45 di Hannah e le sue sorelle) coi quali Allen si è sempre trovato a suo agio, e un minutaggio che si attesta sui 110 primi come da un po' non si vedeva nei lungometraggi alleniani, che si erano assestati sempre più su una lunghezza standard intorno ai 90 minuti, assieme ai soliti stilemi, oltre che narrativi anche formali, già consolidati, quali ad esempio le musiche e i titoli di testa in Windsor EF Elongated bianco su sfondo nero (font usato ricorsivamente fin da Io e Annie), durante i quali in tal caso viene omaggiata l'internazionale Nel blu dipinto di blu di Modugno (a differenza della presenza ricorrente e volutamente quasi farsesca di motivetti spensierati per mandolino, così distanti dall'usuale, amato e suonato, jazz dei salotti alleniani).
Che dire dei microfoni a vista che compaiono più volte allo sguardo anche dello spettatore meno attento: essendo difficile pensare a una svista in una produzione di così alto livello e in relazione alla cura maniacale di Allen, si può solo ipotizzare una scelta voluta ai fini di rimarcare ancora in un modo la natura di commedia, di finzione, della storia volutamente stigmatizzata portata sullo schermo, come in altri rari casi accade invece coi film eccessivamente violenti per richiamare la percezione dello spettatore.
- Ma sopra tutto, come detto, il film diverte e senza volgarità e nudità, come si addice alla commedia di buon gusto (all'italiana di un tempo, alla Monicelli e Fellini, ancor più che a quella alleniana maggiormente ironica e dissacrante); il tutto a dispetto dell'imprecazione iniziale del vigile urbano (divenuto ora realmente una star degli incroci romani) che ci catapulta subito in apertura nel traffico delle storie avventurose che si avvicendano nelle vie e nelle piazze romane.
- Certo la visione di Allen si conosce e la continuità della sua Opera, costantemente arricchita e perfezionata, è risaputa e anche in questo caso la ricorsività narrativa è ben visibile. Ma non condannabile. A meno di estremizzazioni, come nell'eccessivamente già visto e creativamente sterile Incontrerai l'uomo dei tuoi sogni (e questo sapiente potpourri di intricate storie di "vacanze romane" con un'originale strizzata d'occhio alla commedia all'italiana non ne è il caso), anche i più ingiusti e accaniti detrattori della ricorsività artistica alleniana non possono più non riconoscere la portata e valenza artistica, anziché una carenza d'inventiva, del continuum della sua filmografia, che ne fa un'opera d'arte unica e in costante evoluzione progressiva e nobile affinamento di temi, indagine della vita e delle vie di salvezza terrena; qui a esser trattata e posta sotto esame (quasi consuetamente psicanalizzata) è la via del successo, l'abbandono ai desideri e ai sogni passionali, la ricerca di notorietà e benessere altolocato che possono (nel bene e nel male) distogliere dalla quotidianità. L'esito di tale percorso è abbozzato, ipotizzato nelle sue varie sfaccettature e lasciato in parte valutare allo spettatore in un ottimo finale che porta soddisfacentemente a compimento le differenti storie.
Questo viaggio nella Roma turistica dei giorni nostri (con le dovute proporzioni e cautele e con un'ovvia "leggerezza" in più) non così lontana, sebbene più luminosa e stigmatizzata, dalla città modaiola e scanzonata, dalla scandalistica dei paparazzi e dai lussi della dantesca Dolce Vita dipinta da Fellini, potrebbe essere posto come l'ultimo capitolo, fino ad ora (visto che dovrebbe essere in cantiere almeno un nuovo lavoro europeo che alcuni rumours vociferano in Danimarca), di un filone alleniano nelle capitali eterne d'Europa, dopo Londra, Barcellona e l'ultima Parigi senza tempo, vista anch'essa dagli occhi e dai pensieri di un passeggiatore occasionale. E se in Midnight In Paris la carrellata iniziale, a differenza delle panoramiche indimenticabili e anche in questo caso imparagonabili di Manhattan, era, in effetti, un po' eccessivamente espressionista (per quanto illuminante e perfettamente realizzata), in questa pellicola non ci si abbandona mai a sterili voli pindarici paesaggistici, se non ai fini visivamente strumentali della narrazione e dei viaggi della mente dei protagonisti. Un ennesimo capoverso in questa saga europea che, da un lato, rielabora alcune visioni precedentemente sviluppate (come l'indagine sulla passionalità già presente per ultima soprattutto in Vicky Cristina Barcelona) e, dall'altro, compie un nuovo e, checché se ne dica, nel suo genere ben riuscito omaggio alla Città Eterna e alla cultura del Bel Paese (quello dall'apparenza piacione, romantico e soleggiato visto dagli occhi di un americano o di un turista), a partire dalla musica lirica, l'unica ad offrire qualche break nel serrato avvicendarsi delle scene delle quattro novelle.
Una menzione, connessa all'Opera italiana, va riservata all'unico personaggio che riesce, se pur con un compromesso, a essere umilmente a suo agio davanti al pubblico: l'improvvisato lirico, il quale risulta in grado di esibirsi solo a patto paradossalmente di mantenere la propria intimità cantando le arie sotto la doccia come a casa propria, in un'orchestrazione geniale (altro che poco ispirata!) delle suddette scene.
- Il tutto, trascurando il mediocre doppiaggio, con una compagnia di attori veramente in stato di grazia (eccetto forse lo stesso "normale" Allen nei panni del suo solito, ma non per questo non esilarante, personaggio), a partire dai caratteri minori e dalle piccole parti recitate dai cammeo italiani.
step850  27/05/2012 20:31:47Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
sottoscrivo ogni parola che hai detto. unico appunto sulla questione microfoni: mi pare di aver letto in questo stesso forum che si tratta di un problema di proiezione nella sala dove si vede il film. sembra che ci sia un mascherino che se non posizionato bene fa vedere ciò che c'è sopra l'inquadratura. io stesso al cinema non ho visto alcun microfono
Invia una mail all'autore del commento Davide Barberis  28/05/2012 14:45:46Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Grazie mille.
E anche grazie della risoluzione della questione microfoni. La trovavo proprio atipica e difficilmente spiegabile. Non avevo letto tutti i commenti e ora ne prendo piacevolmente atto.

Ho apprezzato molto nel tuo personale commento al film come sottolinei la questione della "mancanza di (auto)ironia". Soprattutto quando ciò riguarda il nostro paese questa carenza si fa pesante e forse ciò potrebbe essere una possibile via di soluzione a svariati problemi.

Non critico di eventuali appunti specifici fatti al film ma obbietto e mi dispiaccio dell'"atteggiamento superficiale" e a-critico della gran parte dei critici e recensori.

Spero ciò sia uno stimolo ad andare a scavare più a fondo nei giudizi.