Il grosso problema dell'horror moderno: trovare un modo per soddisfare - attenzione soddisfare, non impaurire ! - lo spettatore. Avevamo già notato ultimamente una concessione ironica nell'horror; Drew Goddard fa anche di più. La telecamera ruota su sè stessa di 180 gradi, e mostra cosa c'è dietro un film horror. Nel film si riconoscono tre distinti livelli: il film horror e i suoi protagonisti (i cinque ragazzi e il vecchio benzinaio); regista, sceneggiatori e tecnici (i tecnici, per l'appunto, che si celano nel sottosuolo e controllano la casa); il pubblico (gli spiriti antichi) che va soddisfatto a tutti i costi con le morti e che da quarant'anni viene imboccato con le stesse identiche storie e gli stessi schemi. I livelli si ripropongono anche fisicamente nel mondo immaginato da Goddard: in superficie c'è la casa che rappresenta la finzione filmica, sotto di essa la regia, nel profondo della Terra il pubblico. Esilarante alzare il sipario sui retroscena dell'horror e scoprire tutti i mostri possibili da utilizzare, relegati in gabbie trasparenti come in uno zoo, da scegliere di volta in volta a seconda della moda e dei costumi. Geniale il riferimento agli altri paesi, per mostrare come esista anche una concorrenza in questo mercato o - se volete - in quest'arte. Ad aggiungersi alla sequela di sacrosanti stereotipi, la figura del cannato che ci vede più lungo degli altri: meglio drogarsi da sè che farsi drogare.
Un film che in sè non è bellissimo, ma che concettualmente appare un tentativo interessante.