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DIAZ regia di Daniele Vicari

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Invia una mail all'autore del commento Giordano Biagio     8½ / 10  18/04/2012 23:28:06Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Questo film di Daniele Vicari non vuole raccontare per immagini qualcosa che sul piano del significato storico, politico, costituzionale è già stato ampiamente dibattuto in tutti i giornali democratici, le TV, la Magistratura, i Partiti, le parti sociali, l'editoria, etc. giungendo quasi unanimemente a conclusioni di dura condanna nei confronti del folle comportamento della polizia nel G8 di Genova, 2001, innescato da ordini provenienti da forze istituzionali superiori, tuttora oscure. Se il film avesse voluto fare ciò, si sarebbe avuto in tal caso una sorta di ripetizione, seppur con nuove e varie sfumature, di quanto di meglio in termini di chiarezza era stato già formalizzato e analizzato dal dibattito, nelle istituzioni democratiche, su quel tragico evento.

Ricalcare qualcosa, con questo film, di quella denuncia civile-sociale su quei fatti di estrema gravità avrebbe avuto l'effetto di una lagnosa ridondanza, tra l'altro espressa in una forma di scrittura diversa e forse troppo breve come quella filmica che avrebbe prodotto probabilmente solo un ricordo schematico, appena tratteggiato di come sono stati violati, in un paese a costituzione democratica come il nostro, i più elementari diritti umani.

Daniele Vicari perciò non è un regista di denuncia civile, come comunemente si crede, è in realtà un vero artista che vuole creare pathos, secondo se stesso, a prescindere dai contenuti, perché porta sullo schermo fatti e cose già in gran parte noti nella loro problematicità etica di fondo: quindi prive per un film di valenze emotive legata alla sorpresa amara di uno scandalo, e alla conseguente sua indignazione.

Vicari estrae magistralmente dagli eventi storici reali, drammatici, negativi qualcosa che messo in immagini riesce a sconvolgere immediatamente molto di più di quanto accade nelle normali scritture già fatte, legate a quei fatti, ne deriva anche un potenziamento dell'indignazione dello spettatore rispetto alla normale portata emotiva della violazione dei diritti umani più elementari, è qualcosa che agendo anche sull'inconscio dello spettatore lo porta vicino a una visione speciale, ad esempio connessa alla sensazione che può dare un film horror. Lo spettatore prova quindi commozioni forti che per forza di cose con la scrittura filmica non si intellettualizzano perché fanno parte dello specifico del dispositivo filmico, che è idoneo a shoccare soprattutto in virtù dell'impressione di realtà; ecco apparire allora nel racconto un nugolo di dettagli e particolari raccapriccianti, sconvolgenti, immessi in un meccanismo letterario fantasioso, ma esteticamente efficace, che regola gli eventi in una forma di romanzo sociale, in un crescendo ben preso in uno stile neorealistico che lascia esterrefatti per senso di verosimiglianza con il reale più noto.

Vicari presenta i fatti salienti e poi di essi formula qualche indizio interpretativo ritornando con i personaggi corali al momento in cui è stato dato l'ordine chiave dell'attacco alla scuola Diaz da parte delle forze di polizia, ripetendo in quell'istante alcune frasi di quel momento per far capire che si ripete con nuove scene qualcosa di prima ma che nel proseguo sorprenderà e stupirà perché spiegherà un comportamento già visto ma prima ignoto nella sua struttura più profonda. Un meccanismo letterario efficace che toglie ogni dubbio sul presunto stile documentario del film che proprio non esiste, Diaz è un film che ha una forma estetica che avvince e lega lo spettatore alla poltrona, dandogli la sensazione di essere in presenza di una vera e propria forza ipnotizzante e suggestiva che prende a prestito più di due millenni di letteratura per meglio impressionarlo.
polbot  20/04/2012 12:51:37Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
http://www.vittorioagnoletto.it/2012/04/quello-che-il-film-diaz-non-dice/