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ROMANZO DI UNA STRAGE regia di Marco Tullio Giordana

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hghgg     8 / 10  15/01/2014 18:46:35Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Altro oscuro gioiello del cinema italiano contemporaneo ancora una volta firmato Marco Tullio Giordana, sicuramente tra i migliori registi italiani da molto tempo a questa parte e il migliore nel campo dell'impegno sociale, politico e storico, pur potendo contare su una concorrenza davvero poco agguerrita.
Uscito appena due anni fa, questo film dimostra ancora una volta una lodevole propensione del regista verso il coraggio; non parlo del coraggio nel trattare certi temi e certi drammatici eventi della storia italiana ma nel coraggio nel modo in cui sceglie di metterli in scena. Mi spiego: è un bene e da parte mia una fonte da cui scaturiscono lodi il fatto che Giordana abbia scelto di dirigere questo film con stile rigido, partecipe ma al di là di qualunque giudizio, più vicino al documentaristico (pur non essendolo) che al cinema poliziesco o d'azione (da cui si allontana in maniera totale). Giordana è un narratore che rifiuta ogni forma di eccessiva tendenza all'emozionalità, alla lacrima facile, al lato più romanzesco e quindi fittizio della settima arte. Nulla è forzato nel drammatico perché il dramma è già lì, sullo schermo, ci è sbattuto in faccia, ed era già lì, nella storia italiana, fin da quel maledetto 12 Dicembre 1969.
Giusto quindi porsi solo come tramite per raccontare la propria versione della storia, tenendosi quanto più possibile sul piano del realistico e del verosimile (un film non sarà mai totalmente realistico anzi un film già di per se nasce romanzato, il trucco è tutto qui); starà poi a noi spettatori trarre le conclusioni, che francamente hanno portato almeno a me ad una serie di punti e sensazioni molto simili: angoscia, sgomento, rabbia, delusione, disillusione (non che siano sensazioni nate con questo film, ovvio) e tutto semplicemente "mostrando" perché tutto ciò che serve per emozionare ("far provare emozioni") è già lì e per renderlo il più efficace possibile quale metodo se non quello di renderlo quasi un'inchiesta-documentario che abbraccia un film storico-drammatico ?
Un plauso quindi all'abilità di Giordana. Non è stato il primo, non è stato il migliore e sperò non sarà l'ultimo, ma sono elementi che mi strappano sempre un "bravo".

Ora, non ha senso che io mi metta a descrivere la storia raccontata ma, in breve, dico che la sceneggiatura è valida e riesce a gestire in maniera soddisfacente nelle due ore di film i numerosi intrecci, eventi, intrighi che si susseguono tra l'autunno del 1969 (il film inizia narrando i mesi subito precedenti alla Strage di Piazza Fontana) e il 1972 ponendo alla fine l'assassinio del commissario Calabresi ad opera di ex-esponenti di Lotta Continua. I perché, i percosa, i percome, gli intrecci, le morti (le 17 della Strage, quella dell'anarchico Pinelli, quella dell'editore Feltrinelli) le fazioni (anarchici, sinistra extra-parlamentare, neofascismo e neonazismo veneto, stato-ovviamente- servizi segreti, forze dell'ordine), i dubbi, i sospetti, il dramma, gli intrighi si intrecciano in un tempo perfino breve per una tal quantità di materiale eppure il tutto si mantiene equilibrato, preciso, romanzando qua e là, tagliando e rinunciando forzatamente a qualcosa ma saldando bene sullo schermo gli obbiettivi narrativi principali. Al nucleo, la Strage del 12 Dicembre '69, si contrappone il duello idealistico-morale tra il commissario Calabresi e l'anarchico Pinelli, la cui storia o la si conosce o la si guarda nel film e non starò qui ad aggiungere prolissità al già prolisso. Mi premeva invece lodare il modo in cui sono stati messi su schermo i due uomini; soprattutto Pinelli, interpretato magistralmente da un Pierfrancesco Favino particolarmente convincente. Un bravo attore nel complesso, ma qui è davvero impeccabile, nell'entrare nel personaggio, nel rendergli giustizia e fedeltà. Una delle sue migliori interpretazioni. Ed è convincente anche (anche lui molto bravo nel complesso) Mastandrea-Calabresi, in un'interpretazione che restituisce tutto il lato più sofferto dell'uomo. I due personaggi, così ben interpretati, assumono i contorni quasi di eroi tragici, entrambi vittime di qualcosa di decisamente più grande di loro, entrambi rimasti soli, entrambi convinti nel rimanere sui loro binari a costo di incontrare l'unico destino possibile per qualunque eroe tragico: la morte.
Tra tutta la serie, numerosissima, di personaggi secondari o di contorno, nessuno dei quali privo di utilità, a spiccare sono indubbiamente due figure: quella di Aldo Moro ovviamente, sempre teso tra il torbido e il "tentativo del giusto", qui è colui che cerca la verità e poi accetta di fermarsi, dopo un confronto con Saragat, a favore della "stabilità". Torbido Moro e la DC come torbido è tutto ciò che si vede nel film, ma proprio tutto. Moro che finirà a sua volta assassinato (o tolto di mezzo, per intenzione di qualcuno più torbido di lui nello Stato...) nei noti fatti del 1978. Interpretato da un fedelissimo di Giordana, Fabrizio Gifuni, che ce la mette tutta e riprende, volente o nolente, la perfetta interpretazione del "politicante qualunque" (cit. Giorgio Gaber "Io se fossi Dio" 1980) data da Gian Maria Volontè, risultando comunque credibile e soddisfacente.
L'altro personaggio degno di nota è quello del Magistrato Ugo Paolillo, personaggio unico in tutto il film per limpidezza e senso della giustizia (oh, immagino che avrà avuto anche lui i suoi difetti), ma anche lui vittima di un qualcosa superiore a lui, qualcosa che di fatto bloccò le sue indagini. Paolillo per primo si oppose alla "persecuzione" verso gli elementi anarchici, fiutando la pista di estrema destra. Un uomo che ha tutta la mia stima (almeno per ciò che ha fatto in quegli anni, da molto giovane) e che si presenta come l'unico uomo, e nel film, personaggio, chiaramente e unicamente positivo. Magistrale (eh, niente giochi di parole con "magistrato" giuro) l'interpretazione del volto per eccellenza del cinema di Giordana, il grandissimo Luigi Lo Cascio che fa suo anche Paolillo, sfruttando al meglio le sue poche scene per dar vita a momenti davvero tra i più memorabili di tutto il film. Uno dei migliori attori italiani (degli ultimi vent'anni di sicuro, non sono sicuro di potermi limitare a ciò tuttavia) presta al volto ad un uomo degno di stima. E poi tanti volti e tanti uomini, corrotti, vittime, entrambe le cose, sfaccettati, putridi, spietati, giusti, una serie di piccoli ritratti che girano intorno ai volti di Calabresi e Pinelli che a loro volta scontrarono, e distrussero, le loro esistenze dentro il dramma di una Strage insensata (quale strage lo è ?) che come dice una delle didascalie nei titoli di coda "ad oggi non ha colpevoli", almeno ufficialmente, che si è lasciata dietro una scia di morti continuata per anni, frutto di quella "Strategia del Terrore" di cui l'Italia è stata vittima per mano del suo stesso Stato.
Il film è anche tecnicamente un buon prodotto. Secco e preciso, mai troppo virtuoso nella regia nell'ambito del "realismo-inchiesta". Duro, durissimo nei dialoghi e nelle atmosfere, asfissiante nel suo tirare continui pugni nello stomaco dello spettatore, senza momenti ironici o distensivi. Intreccio ben gestito, non risulta troppo confusionario ne dispersivo a mio parere ed è questo il motivo principale della riuscita del film; dialoghi credibili, interpretazioni come già detto ottime e una fotografia perfettamente adattata alle atmosfere ricercate nel film, si veda la scena all'interno della Banca immediatamente dopo l'attentato, una sequenza magistrale come magistrale è anche la gestione della tensione che ovviamente abbonda: a volte esplode, a volte è sospesa e impregna l'aria ma non lascia lo spettatore nemmeno per un secondo. Notevoli, infine, alcune scelte registiche, come la morte di Calabresi e quella di Pinelli, i momenti cardine più tragici del film dopo, ovviamente, l'attentato del 12 Dicembre. Lì però era mostrata chiaramente l'esplosione, l'atto, e poi il risultato. Della morte dei due "personaggi principali" Giordana mostra solo l'effetto e non l'atto, non la causa, sia per Pinelli (e qui la causa resterà forse in eterno sconosciuta alla certezza) sia per Calabresi di cui pure si conoscono gli assassini. No, ci accorgiamo della morte dell'operaio anarchico con un tonfo e poi vediamo il suo corpo quasi cadavere nel cortile, ci accorgiamo della morte del commissario solo vedendone il corpo riverso a terra, non sentiamo nemmeno i colpi di pistola. Scelte che portano ad aumentare la sensazione di sorpresa e di shock nello spettatore evitando situazioni troppo telefonate visto che l'aumento di tensione nei momenti subito precedenti era ben percettibile e visto che i destini dei due personaggi, uomini realmente vissuti, erano già scritti comunque nelle pagine della storia. Nessun pathos eccessivo, solo crudezza che provoca emozioni, dunque.
Preciso di non aver inserito spoiler proprio per questo motivo: non ritengo necessario farlo quando si tratta di film storico-biografico.

In conclusione si tratta di un ottimo film, sotto tutti gli aspetti, per ora ultima ma già ennesima perla (o calcio nel deretano) di un regista che ormai ritengo di poter definire "Grande" come Marco Tullio Giordana.

Una pagina nerissima di storia italiana che purtroppo non si chiuderà forse mai, lasciandosi dietro scie di dubbi, sospetti, ingiustizie e soprusi troppo lunghe.
Anche più di questo mio commento terribilmente prolisso (sdrammatizziamo và, almeno alla fine).