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MIA FAMIGLIA regia di Eduardo De Filippo

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elio91     7½ / 10  03/03/2012 21:55:03Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
ALBERTO- ... Quando sposai tua madre… lei sta qua, lo può dire… ne parlavamo da fidanzati, anzi, io ne parlavo sempre, lei meno… Volevo dei figli. E infatti venisti tu: il maschio! Mi sentii un Dio. E pensai: "Nun moro cchiù". Non vedevo più nessuno; non mi occupavo più di tante cose che mi erano sembrate indispensabili fino a quel momento. Dicevo: "Tengo nu figlio… che me mporta d' 'o riesto!" Mi sentivo felice perché capivo che, finalmente, potevo riversare su me stesso… perché un figlio è parte di te stesso… tutto l'affetto che mio padre e mia madre avevano riversato su di me, evidentemente con lo stesso sentimento mio. E faticavo, faticavo cu' na forza e na capacità di resistenza che facevano meraviglia a me stesso. "Nun moro cchiu". Cammenavo p' 'a strada, e parlando solo dicevo: "Nun moro cchiu". Poi venne il periodo delle malattie; sciocchezze, si capisce, malattie che tutti i bambini devono avere; ma ogni volta avevo l'impressione di tornare a casa e di non trovarti più. E vuoi sapere quali erano i pensieri che mi venivano in mente in quei momenti? Uno dei pensieri che più mi torturava era quello che mi faceva credere che se tu morivi la colpa sarebbe stata mia. Non perché ti avevo fatto mancare qualche cura o qualche specialista; ma perché pensavo: "L'ho messo io al mondo, la colpa è mia!" Tu capisci, allora, che un padre, di fronte a un figlio, la responsabilità se la sente; per quello che deve fare, per come deve vivere quando sarà grande. Che Iddio mi fulmini se una sola volta pensai di fare qualche cosa per costringerti a farti prendere la mia stessa strada, e farti avere il mio stesso avvenire. Perché tu lo devi sapere, questo: nemmeno io sono contento di quello che sono! Io pure, da ragazzo, avevo delle aspirazioni superiori alle mie possibilità. Tua madre lo sa. Scrivevo poesie! Ma poi uno si piega, uno capisce che a certe altezze non ci può arrivare; e, secondo te, non sarebbe stata una gioia per me, di vederti emergere, come non era stato possibile a me? Ecco perché quando venisti al mondo, io dicevo: "Nun moro cchiu". Poi venne la seconda: la femmina. Coppia perfetta: maschio e femmina. "Che fortuna! Bene! Bravo! Il maschio e la femmina! Auguri, auguri…" Ma io già mi ero disamorato; già l'entusiasmo non era più quello del primo figlio; già non intervenivo più quando vedevo una cosa sbagliata; già sentivo da molto tempo mia moglie che diceva: "Albe', ma ti sembra il momento?" come ha detto poco fa. E invece voglio parla'. Può darsi che sono ancora in tempo. Voglio parla'! E voglio dire tutti i luoghi comuni, le frasi più vecchie; non mi vergogno! Voglio citare i proverbi più antichi. L'arta 'e tata è meza mparata. Chi va per questi mari questi pesci piglia. Chi te ne fa una te ne fa mille. Chi pratica con lo zoppo impara a zoppicare. Dimmi con chi vai e ti dirò chi sei. Meglio l'uovo oggi che la gallina domani. E non ridete? Perché non ridete? Io sto dicendo le cose più antiche, e non ridete? Come vedete un passo lo abbiamo fatto: voi mi sentite dire queste cose rancide e non ridete. E io le dico e non mi vergogno… È importante… è importante assai. Questo significa che voi avete tentato di farmi diventare una cosa inutile; ma che non ci siete riusciti; e che io ho creduto di trovarmi di fronte a gente che vedeva con un occhio più aggiornato del mio e non era vero. È importante… è un miracolo!




Messa in scena nel 1955, Mia famiglia fa parte di quello che secondo il sottoscritto è stato uno dei momenti peggiori del teatro eduardiano. O perlomeno di un periodo in cui le sue commedie, rivelando uno sguardo attento sulla famiglia, assumono uno sguardo moraleggiante di cui il suo teatro non è mai stato privo, ma che assume una pesantezza spesso insopportabile dopo tanti anni. Il che non significa che non ci sia qualcosa di buono da ricavare anche in queste commedie...
Nello specifico, sia "Mia Famiglia" che "La paura numero uno" hanno dalla loro personaggi meno incisivi, situazioni meno umoristiche e via via più drammatiche (non aiutate da un pessimismo dilagante), moltissima carne al fuoco. Eppure non funzionano come altre commedie passate e future del grande autore napoletano. Scricchiolano e non poco.
Non mancano momenti da incorniciare (lo sfogo di Alberto sul finale del secondo atto, che ti tiene incollato alla sedia per tutta la sua durata), non mancano neanche lati controversi come quello sul personaggio omosessuale (e per la verità Eduardo è stato uno dei primi a scriverne in maniera esplicita); un personaggio negativo, su cui il protagonista si affretta con un giudizio abbastanza pesante e prevedendo una sorta di setta di omosessuali nel futuro. Oggi sarebbe facile contraddire e addirittura disprezzare l'autore per questa scelta, senza tenere conto di due fattori fondamentali: i tempi erano differenti ma soprattutto l'errore madornale che si commette con Eduardo, il confondere la morale del protagonista dell'opera (in questo caso conservatrice) con quella dell'autore.
Il problema non è questo; non è neanche il finale aperto e poco chiaro, come il miglior De Filippo sa fare. è proprio il moraleggiare del terzo atto ad infastidire, stesso problema de "La paura numero uno"... Cosa strana questa, difetti che è raro riscontrare nel teatro di Eduardo successivamente.
Commedie sempre moralistiche ma mai in senso negativo (anzi) che di lì a poco torneranno ad essere capolavori; pensiamo subito a "Sabato,Domenica e Lunedi" (che non esiste in versione televisiva, se non nell'ottima versione di Toni Servillo), una perfetta sintesi dell'Eduardo "familiare" in cui la disgregazione del nucleo famiglia è invece mostrato con molta più verve dei risultati precedenti tanto da farne uno dei suoi più grandi capolavori.
Ci si può accontentare in questo caso nel vedere De Filippo alle prese con una commedia moderna per i suoi tempi, non riuscita in tutti i suoi lati ma che ha dalla sua un pò di cinismo e pessimismo che oggi più che allora colpiscono in positivo. Con tutto che la famiglia è sempre stata uno dei temi cardine delle scritture di Eduardo, dalla prima fino all'ultima commedia. Il periodo dal '50 al '55 non è felicissimo sotto questo senso...