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MIO ZIO regia di Jacques Tati

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dobel     10 / 10  27/04/2010 10:22:30Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Tati, come tutti i grandi comici e umoristi, raramente fa ridere, e quando lo fa provoca una risata amara e a denti stretti. In questo senso è strettamente imparentato con Chaplin o con Totò, con Eduardo De Filippo o Buster Keaton. La comicità è un modo di leggere una realtà spesso sgradevole o preoccupante con l'ingenuità del fanciullo. Questo ci fa ridere, ma più spesso ci mette di fronte a noi stessi e ci fa preoccupare. In questo grande film, anche Jaques Tati, ci vuole grottescamente mettere di fronte a quello che siamo diventati (nella maggior parte dei casi) a causa del progresso tecnologico. Si tratta di una specie di 'Tempi moderni', in cui, oltre alla critica sociale e individuale, si insinua una grande nostalgia per un mondo che sta per scomparire; un mondo che solo i bambini (o chi bambino in fondo è rimasto) può ancora amare e apprezzare. Il signor Hulot è lo zio un po' svitato del piccolo Gerard, figlio di due ipertecnologici genitori. Il rapporto del bimbo con i genitori è improntato alla freddezza così come l'arredamento asettico della propria casa. Il rapporto con lo zio è invece affettuoso e caldo così come la periferia da lui abitata: un po' sporca, sicuramente poco efficiente, ma dove i rapporti con le persone danno ancora il ritmo alla vita. Il bimbo passa dei pomeriggi con lo zio giocando per la strada con gli altri bambini. Uno di questi simpatici giochetti è quello di aspettare nascosti una persona che passa accanto ad un lampione, lanciare un fischio di richiamo in modo che la persona si volti e vada a sbattere contro il lampione. Dopo una serie innumerevole di peripezie amare e esilaranti, il padre di Gerard (forse geloso del rapporto che il bimbo ha con lo zio, o forse preoccupato dell'influenza che quest'ultimo può avere sul piccolo) decide di trasferire lo zio trovandogli un lavoro lontano dal proprio paesello. Il povero signor Hulot parte, e mentre viene accompagnato alla stazione o all'aereoporto (comunque un luogo affollatissimo e trafficato), vediamo degli operai che cominciano a demolire i vecchi muri del paesello (anche li la vita cambierà presto e verrà assimilata a quella della grande città; il 'mondo di ieri' sta per scomparire per sempre). In un attimo di pentimento o rimorso, il padre vorrebbe forse richiamare lo zio e gli lancia due o tre fischi per richiamare la sua attenzione; lo zio non sente e scompare, ma un passante va a sbattere contro un lampione; padre e figlio si guardano come due monelli fra il complice e il colpevole e si nascondono dietro l'automobile per non essere 'beccati': il bambino per la prima volta dà la mano al suo papà.
Il finale di 'Tempi moderni' voleva farci guardare con fiducia al futuro (in una delle 'ultime sequenze' più grandi della storia del cinema: Chaplin, prima di incamminarsi per la strada del domani, tramuta in un sorriso ottimista il viso contratto della propria partner); questo finale vuole farci capire che il progresso è inarrestabile e alla fine travolgerà tutti i signor Hulot del mondo con i loro felici e spensierati paeselli. Forse l'unico rimedio possibile è ritornare, almeno per un attimo, bambini.
Tornare bambini è proprio dei Santi o dei Poeti. Non so se Tati fosse un santo, ma certamente fu un Poeta.