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THE ARTIST regia di Michel Hazanavicius

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amterme63     8½ / 10  08/01/2012 23:08:03Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Oggi come oggi è molto diffusa la tendenza a rifiutare il futuro e a guardare al passato come a qualcosa di mitico, da scegliere come modello per il presente. E' come se ci si fosse bloccati sfiduciati nella ricerca del "nuovo" e che si ritenga che solo nel passato ci sia l'avvenire dell'umanità. Visto così, in maniera nuda e cruda, sembra un'idiozia, perché il passato non ritorna, non può ritornare e soprattutto questo atteggiamento può rappresentare un segno di debolezza e smarrimento ideale.
E' in quest'atmosfera ideale che è nato "The Artist", un'opera d'arte che riprende questo modo di sentire e in qualche maniera lo spiega, lo puntualizza, lo trascende e fa capire che effettivamente il passato può insegnare, può ancora dire qualcosa di positivo.
Il passato, quindi, come modello per il futuro, ma del passato non si prendono le forme esteriori e superficiali, ma soprattutto i valori fondanti, i risultati, i messaggi. L'operazione "nostalgia" operata da "The Artist" non è un semplice revival alla "American Graffiti", ma un vero e proprio recupero di valori. E' questa caratteristica etica che eleva il film a qualcosa di speciale e universale, un'opera imprescindibile di questo 2011-2012.
Il mondo del passato che viene eletto a punto di riferimento, che viene fatto rivivere nel suo rappresentarsi e porsi come modello etico, è quello del cinema nel suo passaggio da muto a sonoro. C'è da dire che in "The Artist" si fa un'opera di ricostruzione filologica e spirituale notevolissima. Io ho visto diversi film muti, ho letto libri a riguardo, ho visto documentari di "dietro le quinte" di quel periodo ed è proprio così. Proprio quell'atmosfera spensierata e operosa, il divismo, le gelosie, i tira e molla con i produttori, la voglia di indipendenza, la grande passione per il mezzo artistico. C'è insomma tutto quel mondo nel suo spirito più genuino.
La storia che viene raccontata invece è una specie di sintesi contenutistica di tanti grandi film, dei migliori film dell'epoca. Come base si pone il grande valore della semplicità e dell'onestà interiore di fronte al materialismo e alle falsità della società. C'è poi la grande fiducia nella solidarietà, nei sentimenti delle persone, nella loro incrollabilità e nel loro resistere ai rovesci della fortuna. C'è poi la ritrosia, il pudore interiore, il proprio orgoglio di essere vivente. C'è poi il sentimento, tanto sentimento, ma mai sentimentalismo. C'è infine la voglia di non arredersi e buttare via tutto, di credere nell'occasione di riscatto, nel risollevarsi. Insomma c'è la speranza, parola persa e uscita dai nostri vocabolari.
Altro aspetto intelligentemente recuperato è quello della grande potenza espressiva che aveva raggiunto il cinema muto nei suoi ultimi anni di vita. L'alternarsi di primi piani e piani lunghi, le riprese di insieme sono solo alcune delle modalità visive che vengono riproposte e additate a "modello", a soluzioni che sono, che possono essere, che devono essere ancora vive e vitali.
Si arriva così al nucleo ideologico del film: il rapporto dialettico fra passato e futuro, fra conservazione e innovazione. La soluzione proposta è quella di uno sviluppo che non cancelli il passato, che lo integri dentro di sé, ne conservi il meglio. Il corso della storia, lo sviluppo non si può fermare, questo è implicito nella scena finale, occorre però procedere non a strappi, a brutali rinnegazioni del passato. Anzi, il nostro futuro è nel passato, nel meglio che ci hanno lasciato e insegnato i grandi del passato. E' il messaggio umanista del film. Nel nostro procedere non bisogna schiacciare chi ci ha preceduti, guardarli dall'alto in basso, ma portarceli idealmente con noi. Ecco che il passato non è più una zavorra ma addirittura la speranza nel futuro.
Veramente bravo questo regista. Bravissimi anche gli attori, soprattutto il protagonista maschile (che ha fatto come rivivere la figura di Douglas Fairbanks) e il cane. Beh sì, lui è stato uno dei migliori !!
Invia una mail all'autore del commento LukeMC67  19/01/2012 00:35:05Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Caro Luca, mi permetto di introdurre una nota di dissenso alla tua lettura: sei sicuro che l'essenza di questo film sia che "il nostro futuro è nel passato, nel meglio che ci hanno lasciato e insegnato i grandi del passato"? Nella morte inesorabile del muto a me è sembrato di cogliere invece un cesura netta, una soluzione di continuità irreversibile col passato: non a caso il film si chiude con una performance "sonora" (e non a caso il grande pubblico lo ha finora snobbato anche in Francia). Io vi ho letto invece un invito a guardare avanti senza troppe nostalgie per quel che è dichiarato sorpassato, dunque vi ho letto una filosofia opposta a quella che hai dedotto tu.
Diverso è il discorso tecnico: del resto è noto che l'avanguardia russa degli anni '10, '20 e '30 aveva tutto sperimentato e tutto teorizzato (rileggiti i saggi di Balazsch, per esempio...), tanto che le loro tecniche e la loro visione formale del raccontare per immagini sono a tutt'oggi ampiamente impiegate per esempio nei viedoclip. Riguardati, se hai modo, quell'autentico capolavoro che è "L'homme à la caméra".
amterme63  19/01/2012 08:44:51Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Il recupero del passato non l'ho visto dentro il film, ma per il fatto che questo film esista e sia stato fatto. E' il fatto che sia apparso oggi e in questa modalità artistica, non nostalgica ma etica.
In fondo anche il finale propone una specie di sintesi, come dire: il passato può ancora dire qualcosa, il nuovo ha tutto da guadagnare se "recupera" il vecchio e lo integra nelle proprie strutture.
La sequenza finale è "sonora" per modo di dire perché Valentin non parla. Anzi fa una battuta (l'unica volta che sentiamo la sua voce) in un inglese sgangherato (nei sottotili "con piascere"). Il nuovo può e deve integrare il vecchio, fondendosi con esso.
Comunque è il film stesso nel suo apparire nel 2012 che indica, secondo me, questa via ideale alla società in cui viviamo.
Non ha avuto successo di pubblico? Non poteva essere altrimenti, visto che (almeno in Italia) non è stato inserito nel circuito del cinema di consumo di massa. Personalmente è da tanto che il concetto di "successo di pubblico" ha smesso di avere valore di giudizio. Per me è solo un'indicatore dell'atteggiamento di chi manovra il consenso culturale oggi.
Grazie dei consigli. Ma riuscirò mai a vedere e a leggere tutto quello che vorrei vedere e vorrei leggere? Un salutone, Luca. A presto.
Invia una mail all'autore del commento LukeMC67  20/01/2012 09:33:42Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Uhm... non sono molto convinto di ciò: Valentin è chiaramente l'elemento perdente, Peppy lo fa "risorgere" ma è chiaramente lei (il nuovo, la flessibilità, l'adattamento ma anche lo sfruttamento commerciale) che vince.
Vince cioè l'ideologia della "meretrice" che domina Hollywood: si produce quel che piace al pubblico, ideologia che fa da pendant all'altra che domina storicamente l'espressione artistica: la dimostrazione di potere, di persuasione o quantomeno di egemonia culturale e/o sociale.
In questo senso "The artist" è sì un'operazione atipica ma, ideologicamente, molto conservativa (non arrivo a dire conservatrice) perché non rimette in discussione nessun paradigma dell'arte cinematografica.
amterme63  20/01/2012 14:08:01Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
E' vero, sono molto d'accordo con te che "The artist" è un'operazione "conservatrice" (non senso buono del termine). Ma del resto nella mia introduzione al commento rilevato che viviamo in un periodo in cui si sta più con la testa rivolta all'indietro piuttosto che in avanti. Il problema sta se si deve giudicare questo atteggiamento come negativo o come positivo.
Anche il tuo primo assunto è vero. Valentin (la coerenza artistica, l'indipendenza) è perdente, mentre l'adattamento alle circostanze, in fondo anche l'ipocrisia (Pepi dice cose che non pensa) sono vincenti. Questo è il verdetto della storia. Il regista però si mette idealmente dalla parte di Valentin, della sua battaglia. Lo si percepisce chiaramente durante il film. Alla fine quindi il perdente è nella logica artistica trattatato quasi come vincente. Si fa in modo che lo spettatore parteggi idealmente per lui. Pepi stessa ci tiene a tenere distinto ciò che è dovuto al sistema e ciò che le appartiene intimamente, facendo quasi prevalere il secondo (il ricatto al produttore).
Per le circostanze quindi il nuovo non può che schiacciare il vecchio, per il regista, per lo spettatore, per l'anima gentile della storia (Pepi) il nuovo mantiene nonostante tutto un grande valore. Non so se mi sono spiegato.
Comunque non ti preoccupare, Luca, è correttissima anche la tua interpretazione. L'importante che il film (e Dujardin) sia piaciuto molto a entrambi. Un caloroso saluto, Luca, e stammi bene.
Invia una mail all'autore del commento LukeMC67  21/01/2012 23:16:10Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
In questa divergenza si vede tutto il tuo ottimismo della ragione contro il mio consueto, cupissimo pessimismo dell'anima...
Hai mai visto Dujardin senza trucco? E' un altro! W Valentin!!!...