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THE WAY BACK regia di Peter Weir

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Invia una mail all'autore del commento pompiere     9 / 10  11/07/2012 15:17:22Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Un gruppo di persone, composto ora da 6 ora da 7 individui, secondo un'alternanza che sembra ricondurre alla precarietà di un nucleo familiare, fugge da un gulag siberiano all'inizio della seconda guerra mondiale. L'evasione così imbastita sembra rivestita da un'indole quasi estemporanea: i latitanti non si raccontano quasi niente di se, non si fidano, fanno progetti itineranti ma in pochi credono di poter arrivare alla meta del lago Baikal e poi oltre, fino ai confini mongoli. Inizia per loro una vera e propria via crucis (vedere per credere), con tanto di cappello/corona di spine, documentata dal libro di Slavomir Rawicz intitolato "Tra noi e la libertà".

"The Way Back" è un film imperfetto, in quanto accostabile a molti film di avventura vecchio stile con tanto di note umoristiche a margine nel tentativo di raccogliere il compiacimento del pubblico. Nonostante sia un po' lunghino (d'altronde penso sia giusto che anche lo spettatore provi sulla sua pelle la spossatezza dell'impresa a cui assiste) e si faccia tentare dalla bellezza paesaggistica ritratta come fosse un documentario del National Geographic (tra i produttori dell'opera), l'australiano Peter Weir trova sempre il modo di rilanciare con entusiasmo, attraverso un'epicità che ricorda i film di David Lean; riacquisendo il concetto, ricorrente nei suoi film, della lotta tra l'Uomo e le schiaccianti forze dalla Natura.

Si poteva fare a meno del doppiaggio "alla Ivan Drago" di Colin Farrell, così come di quello balbettante "appiccicato" a Saoirse Ronan, perduta tra un tossicchiare nervoso, un tono abulico quando avrebbe dovuto essere toccante e uno perentorio quando sarebbe dovuto risultare intimo. Tuttavia l'autore sfrutta alla grande il cast a disposizione, dosando perfettamente i tempi e le modalità drammatiche nell'entrata e nell'uscita in/di scena di personaggi eterogenei, tra i quali spicca il prestigioso volto di Ed Harris, splendido ritratto di americano senza nome.

L'aspetto tecnico concilia un abbandono devoto: la fotografia è ottima, il montaggio funzionale contribuisce alla dinamicità del racconto, le musiche sono molto buone (ascoltatevi la struggente "Tibet" di Burkhard Dallwitz). Per questo e altre tante ragioni, "The Way Back" è un gioiellino emotivamente scintillante. Un avvincente dedalo destinato a colpire al cuore: non si può non piangere di fronte alla magnificenza del paesaggio, alla forza della solidarietà e del perdono, alla caparbietà dell'uomo, al sorprendente fascino della vita, alla toccante inesorabilità della morte, alla disperata eternità della Storia. Forse smarrita, forse immaginata, o piuttosto insperatamente e incredibilmente vera.