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INBRED regia di Alex Chandon

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alexhorror     8 / 10  27/05/2012 12:44:27Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Orrore nelle campagne dello Yorkshire per un quartetto di giovani disaddattati ed una coppia di accompagnatori adulti: giunti sul posto nell'ambito di un programma che prevede lo svolgimento di lavori socialmente utili, i malcapitati scopriranno a proprie spese che i deformi abitanti di uno sperduto villaggio sono, come vuole la tradizione, molto ostili nei confronti dei forestieri. Dopo il lontano esordio con lavori amatoriali ("Drillbit" e l'interessante "Bad Karma", da non confondersi con l'omonimo film interpretato da Patsy Kensit) ed il brillante film ad episodi "Cradle of fear", Alex Chandon si ispira al filone inaugurato da "Le colline hanno gli occhi" per confezionare la propria personale reinterpretazione del genere torture-porn : distante dal tono greve e serioso di modelli come "Hostel" ed epigoni assortiti, il nuovo exploit del talentuoso regista inglese si distingue per ironia e per ferocia. Sin dall'inizio – un siparietto ad alto tasso splatter slegato dal contesto ma utile a definire la cifra stilistica – si respira un'aria gradita a tutti quei gorehounds che amano frattaglie e spargimenti di sangue, ma senza prenderli troppo sul serio; poi, dopo un breve omaggio a "Grano rosso sangue" e qualche preambolo di rito, parte la giostra ed è spasso vero: assistito alla perfezione dal fido tecnico degli effetti speciali Duncan Jarman, Chandon conduce lo spettatore attraverso un percorso disseminato di supplizi che superano in crudezza qualsiasi modello. Disgusto e risata viaggiano di pari passo in un film che, di fianco ad ottime invezioni (la tortura operata con gli zoccoli di un cavallo è da antologia), sembra non dimenticarsi di citare trovate splatter già viste in "Tenebre" e "Paura nella città dei morti viventi", film italiani dichiaratamente amati dal regista; e stupisce davvero lo sforzo effettistico, un connubio perfetto tra make-up tradizionale e tecniche digitali raro a trovarsi persino in produzioni dalle ambizioni e dal budget più elevati. Azzeccate scelte di casting, e location suggestive valorizzate da una fotografia ispirata fanno il resto, e nonostante la storia in sé stessa (in fondo risaputa) valga meno del modo in cui viene raccontata, lo spettacolo risulta trascinante, e di gran lunga superiore rispetto a quello offerto da innumerevoli altri film omologhi. Finale curiosamente somigliante a quello del quasi contemporaneo "At the end of the day: un giorno senza fine" di Cosimo Alemà