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HUGO CABRET regia di Martin Scorsese

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julian     6 / 10  14/04/2012 02:23:14Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Il cinema, insieme alla fotografia, è la prima forma d'arte tecnologica, ossia strettamente dipendente dalle scoperte scientifiche del XIX secolo.
La sua storia, dunque, è ancora breve, eppure esso, proprio in ragione della sua natura tecnologica, può vantare un'evoluzione straordinaria nel corso del suo primo secolo di vita. Nessun'altra arte, anche considerandola dai suoi lontani primordi, è cambiata così tanto.
Il tentativo di Scorsese, realizzato più a parole che a fatti, è ammirevole: omaggiare un certo tipo di cinema utilizzando tutte le moderne tecniche a disposizione, creare una commistione stonante tra un pionieristico modo di concepire quest'arte e un modo all'avanguardia di realizzarla, interamente in digitale, in 3d, con solo grafica computerizzata a far da scenario al posto degli antichi fondali disegnati.
Scorsese, con Hugo Cabret, vuole creare un continuum temporale, con i vari Lumière e Meliès, che sembra impossibile; inserirsi in quella vecchia scuola che vede il cinema come magia, quando questo era ancora riservato a tecnici e illusionisti più che a professionisti specializzati in un settore ben definito.
Ma non a caso parlo di intenzioni e volontà: l'obiettivo fallisce e non può non essere altrimenti. La Parigi perennemente immersa in una neve anch'essa tridimensionale suona dichiaratamente falsa, ma non riesce ad emulare le stesse sensazioni evocate da quei fondali disegnati ingenui ai quali, peraltro, si era costretti per la pochezza di mezzi. La fotografia di Hugo è noiosamente ritoccata per dare vivacità ai colori, anch'essi palesemente finti.
Non si contesta la falsità, direi piuttosto sponsorizzata, quanto la pretesa di ricreare con essa lo stesso spirito di un tempo, lo stesso rapporto regista (o illusionista) / spettatore.
D'altra parte l'esperimento di Scorsese, che prevede una riproposizione con tecniche moderne di un vecchio cinema, è, almeno concettualmente, più sensato dell'operazione di Hazanavicius - l'altra grande dichiarazione d'amore di quest'anno verso la settima arte - il quale si rifugia letteralmente nel passato bypassando tutto ciò che è accaduto dopo e creando un oggettino isolato del tutto incoerente con i tempi.
Una cosa è certa: in quanto forma d'espressione libera, il cinema ha la sua linfa vitale proprio in questa discrepanza di stili.
Interessante rilevare un'altra tematica forte nel film: quella della macchina.
C'è un robot che cita Metropolis, ci sono gli orologi, c'è Parigi che sembra un grosso ingranaggio, lo stesso mondo è un grande ingranaggio - dice Hugo - e c'è il cinematografo, che è una macchina.
Si potrebbe ancora approfondire, ma non voglio essere prolisso.
Concludo con una valutazione degli attori: pessimo il marmocchio protagonista, incantevole invece Chloe Moretz (che è '97, minchi.a).
Prima di essere segnalato per pedofilia, dichiaro che attenderò con ansia la maturazione ehm artistica di questa attrice.
Nel bene e nel male, comunque, un film da vedere.