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THE LADY regia di Luc Besson

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Febrisio     7 / 10  26/01/2013 14:08:36Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
The Lady, la Signora, è così che la popolazione preferisce nominarla.

Birmania per chi non la riconosca come Myanmar, ex colonia inglese, occupata dal giappone, in seguito sottomessa da una delle più atroci dittature militariste. Luogo in cui la capitale Rangoon, visto l'assedio dal mare da parte degli americani della capitale iraqena, trasloca (da un giorno all'altro) in un punto meno esposto al centro del paese.
Oppure luogo dove caduta una miniera di giada di proprietari cinese, i minatori non vengono nemmeno soccorsi, e si preferisce costruirne un'altra lontano.
O Luogo dove il governo favorisce l'uso dell'oppio coltivato, e vedere la sua popolazione strafatta di eroina e aids, pur di non farla prender parte alla resistenza.
O ancora luogo dove pur vantando un buddismo tra più i antichi (theravada), possiede i padroni più avidi, quest'ultimi salvati dal non divenire un topo (o chissà quale altro animale) nella prossima vita, per aver costruito una pagoda.
O anche luogo dove la censura farebbe impallidire i vicini cinesi; riviste, telefoni, blackout, internet, tutto è severamente filtrato. Discorso a parte per la radio ascoltata da Aung San Suu Kyi dei vicini (incesurati) Thailandesi.
O luogo dove per distinguersi dal colonialismo inglese, modifica il senso di marcia delle corsie stradali, riutilizzando le vecchie automobili col volante a destra, riducendo la visibilità nei sorpassi al limite dell'impossibile.
O infine luogo dove in una piccola parte di territorio, turisticamente impossibile da raggiungere, infuria una delle guerre più atroci tra i contentendi attigui.

Luc Besson s'impegna in una biografia scomoda per il regime Birmano, ma non per tutto il resto del mondo. È una storia troppo bella e grandiosa, per non essere raccontata.

Definita come il nuovo Mandela, il nuovo Ghandi, è la storia di Orchidea d'acciaio, donna esile che si batte per la libertà. Eletta dal popolo da una politica sana senza campagna pubblicitaria, senza rivali che si battono per un immagine migliore. La solidità della pellicola non si discute. La personalità della protagonista diventa l'emblema di una distinta fedeltà e pienamente ricostruita. Laccato da un sovraccarico di buonismo, i problemi più quotidiani di una simile maratona vengono esclusi, se non per qualche battuta concessa al marito. La visione si concentra in una serie di tappe fondamentali che variano dalla fine anni 80 fino al 2001, senza concentrarsi sulla controparte abbozzandone la vera cattiveria del regime. Tappe che risultano troppe, e se non troppe, sono tutte abbastanza "equi" importanti, tanto che fanno mancare dei picchi d'intensità, facendolo risultare un po' piatto. In tante informazioni, riesce solo in parte a trasmettere questo senso di solitudine, in fondo anche fatto fondamentale della vita di Aung San Suu Kyi. Un racconto che fa conoscere in grandi linee quest'atto di coraggio. Per chi invece non avesse idea, potrebbe rimanerne un cammino confuso. L'immagine simbolo del film è stupenda, anch'essa però messa in ombra dagli innumerevoli fatti; La Signora fiorita davanti ai fucili carichi pronti a spararle.
Finale che senza un adeguata un informazione rimangono quasi senza senso, con i monaci dotati della loro ciotola del riso delle offerte in pellegrinaggio in segno di protesta.

È da guardare in ogni caso. Quindi consigliato per il contenuto, almeno non possiede l'incoscienza di nascondersi o traviare, peccato rappresentato in un modo troppo... occidentale. Era un film per Kim ki-duk?