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MARILYN regia di Simon Curtis

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Invia una mail all'autore del commento kowalsky     7½ / 10  19/06/2012 18:49:08Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
A Simon Curtis è riuscito tutto quello che aveva tentato di fare Scorsese nel suo Aviator, una riflessione su Mito, Realtà e Finzione.
Hughes non è Marilyn, a modo loro entrambi rappresentano le maggiori icone del XX Secolo.
"Il principe e la ballerina" non fu un film indimenticabile, ma a modo suo determinante. La storia di Else che entra nell'alta società è la stessa di un'icona hollywoodiana che si sposa per la terza volta con un'intellettuale newyorkese (Miller) e spera forse invano di entrare nell'accademia dei Nobili del cinema grazie a Laurence Olivier. E poi c'è la storia di Clark che, al contrario, si accontenta di un ruolo marginale pur di entrare "nella sua storia", opponendosi a un destino già scritto (dalla ricca famiglia).
I critici non hanno capito un benemerito c.a.z.z.o., questo non è solo il film sulla fragile donna prigioniera del suo Mito, ma su certe GERARCHIE. Quelle che si impongono fino a trovare nell'arma divistica la sua più grande opposizione. Dice bene chi afferma che "è il confronto tra una diva che vorrebbe diventare una grande attrice e un grande attore che vorrebbe diventare un divo" ma è una definizione piuttosto generica. Sbaragliato da un trailer pessimo che non gli rende giustizia - al di là di certi dialoghi piuttosto fasulli - "Marilyn" è un'esperienza esaltante. In fondo, lo sguardo amorevole di Colin Clark non è distante da quello della spettatrice Mia Farrow ingabbiata nel suo sogno virtuale in un capolavoro di Woody Allen ("La rosa purpurea del Cairo").
Michelle Williams trasmette nello spettatore dolcezza e dissuazione tali da percepire la brutalità della fiction, davanti a cui restano le parole di Olivier/Bragath alla fine del film, "E' riuscita a fare tutto come se fosse se stessa, senza diventare altro". Ed è a Bragath, erede di... indovinachi che si deve una perfetta aderenza melodrammatica dell'uomo prigioniero del suo rigido e immortale talento.
Facile che, con certi meccanismi di rivalsa attoriale, i personaggi più deboli siano proprio Henry Miller o Vivien Leigh, i rispettivi consorti, sottratti con un ampio margine alla loro invadenza privata. Facile che l'8 il film comunque lo sfiori, pur programmando di fatto certe scelte stilistiche appassionate ma compiaciute.
Ma resta un film delizioso. Dopo il risorto Melies di Scorsese - ancora lui - tutto è possibile. I fantasmi che vivono, come in un romanzo, nel nostro personale voyeurismo collettivo