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ARIRANG regia di Kim Ki-Duk

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Ciaby     10 / 10  13/10/2011 11:57:56Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Intimismo delirante che sfreccia nel vento, la confessione del dio cinemaografico si divide tra l'assoluta calma e pazienza, come una confessione quasi religiosa, e la distruzione, il delirio e l'isteria. Kim Ki-Duk, dopo tre anni, parla di sé stesso in un film su sé stesso, ma soprattutto sul suo cinema. Questo non è un film per piacere, non è un film per il pubblico. "Arirang" giustamente, lo snobba. è uno sfogo, una confessione per autoesorcizzarsi, girata con una videocamera digitale, senza soldi né attori. Kim Ki-Duk è allo sfascio, solo, ma finalmente libero di dire quello che vuole.

Dalla sua idea sulla morte, agli insulti rivolti a chi gli ha voltato le spalle. Kim Ki-duk si sfoga e, ovviamente, lo fa a suo modo: cantando l'arirang, canto tradizionale coreano, mentre la telecamera riprende le locandine, i premi vinti e i copioni. Kim Ki-Duk si sdoppia (ricordiamo che il doppio, la scomposizione, è presente quasi sempre in ogni suo film), a specchio, e diventa quasi un caleidoscopio: lui parla a sé stesso, l'ombra parla a lui , ma al contempo un quarto Kim Ki-Duk guarda divertito il girato ai limiti della disperazione.

Documentario o montatura? Kim Ki-Duk non si sforza di nascondere le cose: "Può darsi che prima stessi recitando, che non sono arrivato davvero a piangere." Ma poi, la caduta verso gli inferi. Kim Ki-Duk urla, disperato, e si costruisce una pistola, pronto a mietere vittime. Le vittime sono i set dove ha girato i suoi film. Li uccide tutti, a sangue freddo. La strada di "Soffio", il vicolo dei love hotel di "La Samaritana", freddati completamente. E poi, il suicidio artistico. Ancora l'arirang. Il ciclo continuo della vita ancora una volta incarnato alla perfezione: Non sono più le stagioni le componenti del ciclo vitale, ma le emozioni. La ciclicità è alla base del cinema di Kim ed emerge anche nei movimenti quotidiani sempre ripetuti (il caffè, ininterrottamente preparato, lui che dà da mangiare al gatto....). Quando sei solo, la vita è pura e mera alienazione. Lo struggente ritratto di uno dei più grandi artisti del ventunesimo secolo, il cui obiettivo era semplicemente: "Realizzare dei film ingenui, innocenti, imperfetti."

Il devastante e fottutissimo capolavoro di quest'anno.