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RED STATE regia di Kevin Smith

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Jolly Roger     7 / 10  02/01/2021 19:03:21Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi

________________Commento SPOLEROSO ED AMMAZZAFILM___________________

Film interessante, potenzialmente un piccolo capolavoro, ma di fatto, per qualche motivo, non sfonda.
Certamente le tematiche affrontate sono pesanti: il fanatismo religioso, l'omofobia – specie nei confronti dei gay, il razzismo e l'ignoranza. Problemi tipici dei "red states", gli stati degli USA dove vincono i repubblicani. Tipicamente, si tratta di molti stati del sud – quelli che sono abitati dai "mitici" RedNecks, i tipici soggetti che, per intenderci, vivono in roulotte, che mangiano tabacco bestemmiano e sputano, vanno in moto sono tatuati e sono brutti, odiano neri e gay. Famigliole alla Non Aprite Quella Porta, per intenderci.
Posti dove idee fanatiche brulicano, trovano terreno fertile come le radici in un campo di letame.
Dall'altra parte, il pugno duro delle forze dell'ordine.
La morale del film è intelligente e ben rappresentata dal racconto finale:
i due cani, fratelli in quanto provenienti dalla stessa figliata, cresciuti insieme – che finiscono però con lo sbranarsi a vicenda per un'ala di pollo. Esattamente come qui si scannano la società becera, da una parte, e la polizia violenta, dall'altra.
E' per questo motivo che il poliziotto ha disobbedito agli ordini: in questo mondo, dove la gente si divide in due e come quei cani si sbrana a vicenda, egli non ha intenzione di partecipare al massacro – ma cerca di concludere le cose in modo pacifico.
E non è – da notare – una semplice neutralità passiva. Egli prende parte, decide dove stare, lo fa eccome. Ma lo fa senza abbassarsi ad utilizzare la violenza e la morte come soluzioni della controversia.
E' un atteggiamento attivo e pacifico che affonda le radici nell'umana pietas, del tutto simile a quella di Manzoni nei Promessi Sposi. E ciò ci fa pensare che sia lo stesso sentimento del regista, ciò che egli ha voluto dire con questo film.
Ma c'è di più. Non è solo l'approccio che il regista vuole rappresentare, ma anche quello che egli ritiene giusto in assoluto, anche da un punto di vista religioso. Quando quelle trombe iniziano a suonare il Giudizio Universale, la calma fredda piomba su tutti. Lo spettatore rimane basito, esattamente come i poliziotti che non sanno più cosa fare – e smettono di sparare – forse perché timorati da Dio? Solo i membri della setta sanno quello che sta accadendo e gioiscono – ma è una gioia aleatoria e sciocca: è evidente a tutti (meno che a loro) che quel suono può essere tutto, tranne che Dio.
Ma poco importa. Perché in quel preciso momento, quel suono E' Dio.
Lo è sul serio: porta la pace e ferma il tempo. Le due fazioni si guardano, la guerra finisce.
Si scoprirà dopo che si trattava solo dello scherzo dei ragazzi vicini di casa del pastore. Quando ciò viene rivelato, si ha la sensazione che tutto abbia avuto un significato vano. Uomini stupidi che si scannano per stupidi motivi, mentre l'unica cosa che avrebbe davvero avuto un senso, le trombe divine, era invece solo uno stupido scherzo.
Ma in fondo non è proprio così. Il poliziotto inquirente chiede all'agente se i ragazzi (i vicini di casa) sapevano della loro presenza quel giorno. E…no, non lo sapevano. Il fatto di aver azionato le trombe del giudizio proprio in quel momento di guerriglia urbana è stata una pura casualità. "Un colpo di fortuna".
Ma è stata davvero una casualità?
O, forse, visto che prima ho citato Manzoni, potremmo forse chiamarla Divina Provvidenza?
Perché alla fin dei conti è proprio questo il messaggio che il regista vuole lanciare: occhio, c'è un Dio lassù e a quel Dio non piacciono né i fanatici religiosi né i giustizieri di Stato - perchè le persone fanno cose strane quando credono di averne il diritto, ma fanno cosa ancora più strane quando credono e basta.
E queste trombe, qeusto "colpo di fortuna", questa casualità, accade nell'unico istante in cui tale causalità è necessaria.

Gli attori recitano in modo formidabile. Il monologo del predicatore Michael Parks è da oscar, ma ancor di più la recitazione di Melissa Leo: talmente in parte che ti viene voglia di strozzarla. Riesce a rendere benissimo sia l'aspetto del fanatismo cinico ed intollerante – attraverso quei suoi sguardi cupi, ferocemente freddi – e attraverso gli scatti rabbiosi verso i ragazzi, sia quell'emozione di compiacimento alienato quando ascolta le parole fanatiche del predicatore. Mamma mia che recitazione. Da brivido!

Un bel 7 meritato. Non di più, perché alcune cose suonano grottesche e abbastanza spesso l'ironia, pur voluta, non è riuscita.