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MELANCHOLIA (2011) regia di Lars von Trier

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Invia una mail all'autore del commento Gualty     8½ / 10  28/11/2011 17:18:53Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Prelati, notabili e conti
sull'uscio piangeste ben forte
chi ben condusse sua vita
male sopporterà sua morte.

Una tragedia borghese in due atti, una famiglia dilaniata, una perfetta, una appena consacrata. Ville nobiliari e parchi infiniti, estrema dimostrazione ed ostentazione delle vette di potere, ricchezza ed eleganza del genere umano, dei suoi riti e formule tanto, troppo convenzionali. Tanto, troppo vani, semplici gusci vuoti.
Justine, protagonista assoluta di quest'opera, viene introdotta molto gradualmente: da semplice sposa novella raggiante cominciamo a scorgerne la depressione sempre meno velata. Qualcosa la opprime, un peso insopportabile, da togliere il respiro.
Claire, sua sorella. Maniaca del controllo, programmatica sino all'invadenza. Sposata con un ricco astronomo col quale ha un dolce bimbo.
L'umanità è minacciata dal passaggio ravvicinato di un pianeta errante, capace di regalare momenti estetici mozzafiato quali mai furono visti da occhio umano. Justine, terrorizzata durante il rovinoso matrimonio, trova la serenità in sè stessa: "abbandonata" dai genitori immaturi e ben poco premurosi, recide tutti i "fili di lana grigia" che tentano di soffocarla. Distrugge il lavoro che odia, in uno sfogo d'ira liberatorio, allontana il marito premuroso, bello e imbelle, si libera dai gioghi convenzionali in un'immagine pudica ed evocativa, il bagno nella vasca col vestito da sposa sfilato dalla nuca e appoggiato accanto. Immagine ripresa in seguito e provocata sino all'estremo nel suo corpo nudo che ammira il pianeta la notte.
Tutto finirà? Tutto dovrebbe comunque finire. In un dialogo criptico Justine - che parla forse proprio per il regista - dichiara il suo odio per la vita. Ciò non le impedisce di cullare fino all'ultimo suo nipote, regalandogli le ultime ore di serenità che la madre ormai impazzita - e la codardia del padre - gli avrebbero privato. O di provar comunque dolore e tristezza al pensiero della fine, nonostante una calma stoica e una consapevolezza senza pari. Una Cassandra triste che ha quasi rinunciato a scalpitare.
Una buona parte di Justine e di Lars V. T. vuole che tutto finisca. La minaccia incombente più che causa delle proprie sofferenze può essere vista come soluzione. Ciò non significa un'anelito all'apocalisse quanto un desiderio immane di qualcosa di nuovo, di sorprendente, di più sincero, di meno patinato. "Siamo soli" ci dice Justine, siamo l'unica forma di vita nell'universo. E la vita è malvagia, nessuno ne sentirà la mancanza. Pessimismo globale, intrinseco? Non a caso l'intera opera si svolge nell'opulenza di una villa distante dalla realtà quotidiana, in un invito formale il primo tempo e nella famiglia QUASI perfetta, ricca, colta, scientifica il secondo. Ciò che deve finire, ciò che è malvagio, ciò di cui nessuno sentirà la mancanza. La pubblicità patinata di un prodotto scadente. L'arroganza di un parco con 18 buche da golf. I falsi sorrisi, i rituali ormai vuoti. Chissà che la grotta magica, qualcosa di autentico, fatto con le proprie mani e il proprio affetto, abbia poi funzionato.