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THIS MUST BE THE PLACE regia di Paolo Sorrentino

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Dom.Marchettini     4½ / 10  04/11/2011 00:01:33Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Avevo grosse -decisamente troppo grosse, a ben vedere, data la stima incondizionata che ho sempre nutrito per il Paolo nazionale fin dai tempi de "L'uomo in più"- aspettative riguardo questa pellicola.
E qualche timore, a voler essere sincero fino in fondo. Ma nulla che potesse presagire una disfatta simile.
Sciaguratamente, infatti, stavolta la montagna ha partorito il proverbiale topolino. Topo che nella fattispecie è un parruccone cinquantenne semi-ritardato, che gigioneggia alla meno peggio tutto il tempo e non squittisce neanche granchè bene (Ergo: Servillo ma dove c.azzo seiii?!?!?!).
Duole parecchio ammetterlo, ma nonostante la comunque magistrale, a tratti -ma proprio solo a tratti, eh- anche entusiasmante padronanza tecnica con cui è realizzato, nonchè il palese sfoggio di capitali utilizzati, questo "This must be the place" è un film che fa acqua da tutte le parti.
Uno pseudo-drammone esistenziale scialbo e pretenzioso che rincorre inutilmente la poesia, e che altrettanto inutilmente prova ad essere profondo senza minimamente allontanarsi dalla mera superficie, giocandosi senza vergogna alcuna anche la carta del ricatto emozionale dovuto alla Shoah.
Un matrimonio malaccorto fra il più dozzinale dei road-movie stelle&strisce ed il trionfo -per quanto sottilmente sfumato, all'interno della narrazione- di quella retorica sionista (pardon, semita) più bieca e parac.ula a cui l'Academy non è MAI stata impermeabile.
Potevano direttamente intitolarlo "Sorrentino goes to Hollywood just looking for an Oscar or some money". Un titolo che almeno spiegherebbe la ragione per la quale il "place" in questione (ma magari il problema fosse solamente geografico!) sia così disgraziatamente avulso dalle abituali -assai più congeniali ed efficaci- ambientazioni italiote cui finora il cineasta partenopeo è stato avvezzo.
I punti deboli sono tanti e tali che mi passa la voglia anche soltanto di elencarli, figuriamoci di sviscerarli.
Valgano, per tutti, l'irritantissima, fastidiosamente ostentata gestualità di Penn (ma quante volte se lo soffia, il ciuffo dalla faccia?), l'assurdamente lungo cameo di Byrne ed il finale stesso, assolutamente inconcludente quanto completamente campato in aria (come del resto tutta la caccia al nazista che fa da sfondo agli avvenimenti).
Chiamare trama un'accozzaglia simile di situazioni al limite della decenza e ben oltre il senso del ridicolo, semplicemente mi ripugna.
Ok, direte voi, la trama non è certo ciò che fa di Sorrentino il gran regista che è stato (e che spero vivamente torni ad essere, una volta rinsavito dalla sbronza di dollari in arrivo). Solo che a scricchiolare, qui, e parecchio, sono persino i dialoghi e la caratterizzazione dei peronggi, solitamente carte vincenti nelle precedenti opere dell'autore.
Decontestualizzato dal proprio habitat naturale, cioè quel mix grottesco di provincialità e grettezza squisitamente (!) italiano che ha fatto brillare tutti i suoi precedenti lavori, anche lo spiccato gusto di Sorrentino per il "sopra le righe", quell'enfasi quasi macchiettistica che ben si confaceva alle maschere di un Geremia de' Geremei o del Divo Giulio, finisce col sortire un effetto diametralmente opposto a quanto sarebbe stato più che lecito augurarsi.
La più grossa delusione filmica degli ultimi dieci anni.
Tanto più da evitare, ed a maggior ragione boicottare, se come il sottoscritto siete dell'idea che a capolavori come "Le conseguenze dell'amore" spetti di diritto un cantuccio nel gotha della cinematografia mondiale.