ilSimo81 8½ / 10 30/10/2014 16:47:18 » Rispondi Ci sono perdite che diventano ossessioni, sogni da inseguire e ricostruire ogni giorno da capo perché ormai irrimediabilmente svaniti. La moglie del dottor Ledgard, deceduta indirettamente a causa di gravi ustioni, è fantasma di un passato perduto e ispirazione per le attività geniali e discutibili del chirurgo.
"La pelle che abito" continua il percorso lungo cui Almodovar scandaglia la femminilità: suprema tra le bellezze del creato, che divorata dai sentimenti umani degenerati in passioni incontenibili si snatura in scintilla di scandalo. Questo è il filo rosso della pellicola, questa invero è la poetica ricorrente nella cinematografia del regista spagnolo. "La pelle che abito" vanta un'estetica pregevole, laddove la fotografia, la scelta delle luci e dei colori nelle ambientazioni e il lavoro del cast raggiungono una qualità importante. Ma è sotto quest'estetica che si agita un considerevole volume di tematiche, spunti e riflessioni che rendono la pellicola un'opera complessa. Sviluppi e colpi di scena sono momenti ricchi di implicazioni morali, dettate dalla bioetica ma anche dalla semplice coscienza comune. Immagini forti e rivelazioni sconcertanti aggiungono dinamicità emotiva, che affianca ed esalta l'implacabile e intrigante crescendo di trama in un film mai lento né noioso. Vero è che la visione incoccia in alcuni riempitivi evitabili se non imbarazzanti: uno su tutti, la parentesi relativa al fratello di Robert, la cui presenza (insieme a quella della madre) va letta come l'irrinunciabile cenno del regista alla tematica a lui cara dei perversi rapporti familiari. Un passaggio superfluo che comunque non inficia la validità del prodotto. Lieve rammarico per il finale: l'ideale sarebbe stato mantenersi sul crudo livello d'impatto di tutta la pellicola, invece di appiattirsi su qualcosa di più scontato e simile ad un happy ending.
In quest'opera, è palese il debito di Almodovar nei confronti dell'arte francese: il libro "Tarantola" (Thierry Jonquet, 1984) e il film "Occhi senza volto" (Georges Franju, 1960). Come significative citazioni, compaiono pure libri con i nomi di Louise Bourgeois e Alice Munro, ma il riferimento più interessante è nel libro che il dottor Ledgard afferra in una scena: "Il gene egoista" (1976), in cui l'autore Richard Dawkins espone la sua teoria per cui l'evoluzione non è legata alla specie, bensì al gene, e quindi all'individuo (interessante chiave di lettura per interpretare la dedizione del chirurgo alla transgenesi).
"La pelle che abito" è un film che cattura, scuote, appassiona e convince. Da vedere.