caratteri piccoli caratteri medi caratteri grandi Chiudi finestra

MIDNIGHT IN PARIS regia di Woody Allen

Nascondi tutte le risposte
Visualizza tutte le risposte
Invia una mail all'autore del commento Zazzauser     8 / 10  16/12/2011 03:08:30Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Apertura. Uno slideshow di 3 minuti sulla stupenda capitale francese: ben più di un classico modo per presentare la location del film - ma una vera e propria celebrazione della Città dell'Arte per eccellenza, un tributo alla Bellezza e alla Cultura di cui si è resa indiscussa regina durante i secoli. E' proprio sullo sfondo delle suggestive stradine di Parigi, che sembra esser diventata la nuova città prediletta da Allen - ereditandone l'onore da Londra e Barcellona - nell'ambito del suo cosiddetto "cinema europeo" degli ultimi anni, che si svolge la vicenda di Gil Pender, un sognante ed insoddisfatto scrittore e sceneggiatore di Hollywood che anela con sguardo affascinato alla vita nella capitale negli anni '20.

Si è parlato molto del concetto della paura della morte all'interno come all'esterno del cinema di Allen, e nell'ambito di Midnight in Paris non ci potrebbe essere riflessione più azzeccata. Il desiderio del protagonista di vivere al passato va al di là di una semplice fascinazione nei confronti di una personale "età d'oro", motivata da una sfiducia nei confronti del presente: è il suo tentativo di ingannare lo scorrere del tempo - come d'altronde fa il protagonista del suo stesso romanzo, "posseduto" dal mondo della nostalgia e del ricordo - e di sconfiggere il rimorso di essere nato "out of time", nell'epoca sbagliata. Ma a partire dal caso particolare del protagonista, la riflessione di Allen - affondando le radici nella psicanalisi - si estende: quella di Gil non è una sindrome esclusiva dell'età moderna, ma colpisce l'Uomo in tutte le sue epoche - ne è afflitto il personaggio della Cotillard, consacrata al culto della Belle Epoque, e così pure per quello di Gauguin, convinto a sua volta che la generazione di fine '800 sia perduta, in un processo continuo ed ancora non superato. Un processo in cui è coinvolto anche lo stesso Allen, nel quale recente iperattivismo è giustificabile vedere la stessa psicosi. Ed è così che, sotto le spoglie di una pellicola leggera e scanzonata seppur malinconica, Midnight in Paris si trasforma in una trasposizione di una personale presa di coscienza del regista: non è possibile opporsi allo scorrere del tempo. Proprio come succede a Gil, che si rende conto che l'idea di essere più felice fuggendo dalla realtà e rifugiandosi nel passato è soltanto un'autoillusione, una scusa per non affrontare gli ostacoli della propria esistenza - per esempio l'"antagonista" intellettualoide interpretato da Sheen, un topos del cinema di Allen, rispetto al quale il protagonista si sente inferiore -. O come accade, per fare un parallelo con un altro film del regista, al personaggio della Farrow in La rosa purpurea del cairo, che scappa dalla realtà per rifugiarsi nel mondo incantato e perfetto dei film e della Hollywood dell'età d'oro, solo per scoprire che anche quello è dominato dagli stessi cupidi interessi della realtà in cui vive.

Owen Wilson - in un ruolo che personalmente mi ha ricordato quello ricoperto da Jason Biggs in Anything Else - funziona discretamente bene come emulo di Allen e la sua presenza scenica, unita a quelle della congrega di simpaticissimi personaggi-artisti che rivivono sullo schermo (Picasso, Hemingway, Dali, Bunuel, Eliot), riesce a far dimenticare la scarsità di battute sagaci fatte apposta per la citazione che ormai sono diventate il marchio di fabbrica del cinema alleniano.
In sostanza un film delizioso, che ameranno appassionati di Allen e non, capace di far sorridere e al tempo stesso riflettere.