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THE TREE OF LIFE regia di Terrence Malick

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Ciumi     6 / 10  27/06/2011 12:21:56Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
La luce aliena che affianca le scene di vita, introdotte da immagini di grandiosa visionarietà, d'ampissimo respiro,che ne ingigantiscono e assieme ne rimpiccioliscono le vicende, non è la luce del sole, né luce di memoria. Il finale viene a togliere ogni dubbio residuo e possibile a riguardo. E perciò chi, come me, non condivide affatto l'ideologia del film, vi può trovare più che altro un senso di soffocamento. Malick invece, probabilmente, intende descrivervi la figura della ruota, in cui passato e futuro s'incontrano, lungo tutta la circonferenza, e nel punto fermo, al centro, vi sarebbe la vita. Rilegge la vita intorno a quel chiarore. Ma è un dialogo chiuso, fra sé e il suo dio, in cui vi esclude la natura, che cita appena inizialmente, e il non credente.

In fondo, fuori dalla natura e dalla memoria dell'individuo, egli crede di vedere, e vede il Bene Supremo, addirittura lo rappresenta e ce lo mostra. Perché il Bene? Coloro che credono all'eternità della vita, cristiani o di altre religioni, tralasciando il discorso avvilente di un giudizio divino, non sono sfiorati intanto dall'idea che essa possa essere ancora inquietudine? Perché se la meta (un bene), abbaglio di luce allo sbocco di un tunnel, non è che la continuazione di ciò da cui si fuggiva - un bisogno, un'ansietà, una paura - quel bene non esiste. Se non qui in terra, figuriamoci oltre, dove non è affare nostro.
Sarebbe la pietà cristiana la porta che dà accesso a quell'eternità? Non ho mai colto il vero significato di tale pietà. Vale per me, al limite, una pietà come compartecipazione al dolore, ma non per chissà ché, entro una dimensione di sensibilità umana, propria, e soprattutto al di qua, dove ce n'è già fin troppa, di roba confusa, e non oltre la nostra memoria.
C'è chi dice che la posizione di un ateo dimostri arroganza. Io ho sempre pensato l'opposto. Intravedo invece, in fondo alle religioni, una sorta di orgasmo mentale, per quanto si voglia casto il corpo, che arriva a riempire di paternità e sostanza umana l'universo. Il film di Malick, bello a vedersi, ispirato omaggio al cinema di Tarkovskij, dove musica e immagine s'accordano in cerca del sublime, me ne ha offerto un esempio.
E pur non dandosi risposte ai molti punti interrogativi che si pone, vi mette un unico, coprente, monolitico, opprimente punto esclamativo.
pier91  27/06/2011 15:45:59Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Ciao Ciumi, hai aperto proprio delle questioni scomode. Io ho voluto premiare la capacità di Malick, da te confermata, di turbare nel bene e nel male le coscienze. Certo, intravedo in quella spiritualità tanto celebrata, in quella trascendenza del reale, una rinuncia sterile alla propria innegabile corporalità. Da non credente però io mi sono sentita ugualmente partecipe di quel dialogo con Dio. Il discorso che fai sulla convinzione potenzialmente illusoria che l'Eternità sia priva di inquietudine lo trovo davvero stimolante.
Tuttavia, almeno secondo me, Malick controbilancia quella sua ideologia sicuramente limitante (per lo spettatore) con riflessioni che le sono quasi antitetiche. Esempi ne sono l'indugiare sul dolore tutto terreno della perdita, il ritrarre un quadro familiare spoetizzante e disincantato, il delineare un rapporto Uomo-Dio profondamente sofferto e, stavolta sì, denso di inquietudine.
Riguardo la scena finale ho una mia convinzione. Non credo che quella spiaggia popolata da figure leggiadre sia la trasfigurazione dell'Aldilà. Io la interpreto come un luogo partorito dalla mente, frutto di un viaggio interiore che ha avuto come tappa fondamentale l'Infanzia . In questa dimensione immaginaria il protagonista incontra i fantasmi del suo passato, si riconcilia con loro e riconquista un slancio di vita per l' "Aldiqua".

Ciumi  27/06/2011 19:11:19Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Ciao Pier, anch’io da non credente ho spesso apprezzato dialoghi o monologhi di vari autori con il proprio dio, da Bresson, a Bergman, allo stesso Tarkovskij e altri ancora; ma qui è stato proprio il finale che mi ha indotto a sospendere un giudizio, a farmi “rivedere” il film con un’altra luce, a cambiare proprio quella luce che avvolgeva le immagini in cui, è vero, si avvertiva un’autentica tensione. L’ho interpretato proprio come aldilà, e in senso metafisico il luogo dove passato e futuro coesistono per sempre, con tutto e tutti, non un momento o un pensiero insomma: i riflessi eterni di una “gabbia dorata” (t’ho rubato l’espressione). Del resto tutte le cose che scrivi sono condivisibili, e sono pienamente d’accordo con il tuo commento, ma la mia non voleva essere proprio una bocciatura, solo un non-voto per esprimere la mia perplessità. Anzi, esteticamente è il film di Malick che ho apprezzato maggiormente, e l’interazione tra musica e immagini è davvero notevole.