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LA LEGGENDA DI ROBIN HOOD regia di Michael Curtiz, William Keighley

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Dom Cobb     7 / 10  15/05/2018 23:47:27Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Nel XIII secolo, lo spietato Principe Giovanni usurpa il trono d'Inghilterra in assenza del legittimo sovrano Riccardo Cuor di Leone. L'unico capace di opporsi alle angherie sue e del suo braccio destro, Guy di Gisborne, è il fuorilegge Robin Locksley, anche detto Robin Hood, e la sua banda di baldi guerrieri...
Uscito sul finire degli anni '30, primo periodo d'oro del cinema hollywoodiano, la reiterazione della popolare leggenda del ladro gentiluomo che ruba ai ricchi per dare ai poveri rappresenta uno degli usi più significativi del Technicolor in questa prima fase del cinema sonoro, anche se non necessariamente il primo; al giorno d'oggi, questa è solo una delle tante ragioni che ne hanno fatto uno dei dichiarati capolavori del genere e, secondo il parere della maggioranza la miglior versione filmica sul noto personaggio. Personalmente, mi trovo in disaccordo.
Premetto che forse le mie aspettative erano troppo alte in seguito alle critiche entusiastiche e le calde raccomandazioni che ho visto e sentito in giro, e che ero pronto a porre anch'io la pellicola sul piedistallo sul quale la pongono tutti gli altri; e forse è stato proprio questo il problema principale. Non c'è niente di male nel prodotto finale in sé, infatti, se non il fatto di essere in tutto e per tutto figlio del suo tempo. La narrazione parte in quarta fin dalla prima scena, mantenendo un ritmo svelto e brioso per tutta la durata, senza soffermarsi troppo su nessun momento in particolare; fra questi si fanno ricordare le rocambolesche scene d'azione e di combattimento, effettivamente realizzate con maestria. Inoltre, la solida regia di Michael Curtiz e di William Keighley (quanto sia da accreditare all'uno o all'altro è da dibattere) garantisce un paio di inquadrature entrate di buon diritto nell'immaginario collettivo,


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anche se alcune scene risentono del fatto di averle viste per la prima volta come variazioni in parodie.


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Dal lato tecnico, inoltre, le sontuose scenografie e la fotografia di Sol Polito vengono entrambe valorizzate dallo sgargiante colore in tricromia, che dona in effetti a molte scene un glamour che altrimenti sarebbe stato assente; la differenza con un altro simile film di Curtiz uscito solo l'anno prima, Captain Blood, si sente tutta.
Ma come ho già accennato, il film risente comunque del peso degli anni, a dispetto della velocità con cui scorre, e specialmente nel reparto narrativo: infatti, nel corso della vicenda ci si rifiuta sistematicamente di concedere ai personaggi una caratterizzazione che vada oltre lo stereotipo, una cosa che all'epoca era pur sempre la norma e al giorno d'oggi appare alquanto superata. Pertanto, i personaggi si reggono solamente sul carisma degli attori, e anche se Erroll Flynn risulta convincente, non è abbastanza per rendere il suo Robin la versione definitiva del personaggio: non me ne vogliano i puristi, ma per me nessuno sarà mai in grado di spodestare Kevin Costner. Complice il modo in cui la narrazione viene imbastita, con la melodrammatica carica emotiva di un fotoromanzo, anche quello un retaggio del cinema di quegli anni che, per quanto non lo odi, mi impedisce comunque di rimanere emotivamente coinvolto. Olivia de Havilland fa la bella e basta (ma che bella...), mentre a lasciare l'impressione migliore è il sempre ottimo Basil Rathbone.
Per finire, dovrei commentare di aver visto il film nella versione italiana, e intendo quella ridoppiata, trattandosi dell'unica versione reperibile in lingua nostrana: non avendolo mai visto prima, non mi posso sbilanciare sulla qualità intrinseca del doppiaggio, ma anche se ammetto che non è paragonabile neanche un po' ai capolavori che la C.D.C sfornava negli anni d'oro del doppiaggio dell'epoca, non ci ho trovato niente di troppo vergognoso; i doppiaggi di certi film di Kurosawa sono senz'altro peggiori. Ho i miei dubbi invece sulla colonna sonora, che a quanto pare per la versione italiana è stata del tutto sostituita da un'altra creata ex novo: dunque, quella originale di Erich Wolfgang Korngold, tecnicamente, non l'ho mai sentita. Ma anche se tutto questo potrebbe aver influito nella mia percezione del film in generale, non so quanto la visione in lingua inglese potrebbe migliorarlo ai miei occhi.
Alla fin fine, comunque, la cosa non ha molta importanza: rivisto oggi, "La leggenda di Robin Hood" mantiene intatto un certo fascino, risultato della sua veneranda età e del fatto di essere testimone di un genere di cinema ormai estinto che però fa sempre piacere ricordare, di tanto in tanto. La sua enorme importanza e popolarità ritengo siano da attribuire più alla semplice ma efficace messa in scena e al carisma innato di attori come Erroll Flynn, insieme al rivoluzionario impiego del colore; ma, almeno secondo l'opinione di chi scrive, non possiede la stessa energia di alcuni appartenenti al genere che seguiranno in futuro.