La scienza ritiene che tutto ciò che avviene in questo mondo sia il frutto di complicattissime formule matematiche, freddi numeri inseriti distaccatamente in contesti ordinati a tal punto da sembrare paradossalmente caotici. La matematica da sempre non ha un'anima, nella sua logica vorrebbe farci credere che tutto muta dietro ad una scia di numeri. Eppure il numero scaturito dall'immagine finale di ferro 3 è quanto di più potente, emozionante e indelebile che un fotogramma visivo, estrapolato da una pellicola ,potrà mai regalare al cuore di un uomo. Lo zero, come somma di due corpi che uniti dall'amore non hanno peso, è a mio avviso la più esplicativa interpretazione visiva di una parola, amore, che da sempre non riesce a trovare una giusta collocazione tra le infinite 'spiegazioni' che le varie teorie hanno cercato di attribuirgli. Credo che questo regista, dal nome impronunciabile, sia dotato di una sensibilità fuori dal comune perché trasmettere in un'immagine il giusto valore di un sentimento così complesso è davvero un'impresa titanica. Ed è proprio di immagini che si cementa quest'opera, la forza visiva sovrasta le parole, e l'ottica che ne deriva è senz'altro più metaforica che concettuale. Ecco allora che una mazza da golf, ferro 3, assume le fattezze dell'odio e della rabbia presente in ognuno di noi e la pallina il mezzo per far si che giunga agli altri. Ognuno di noi in definitiva è come una casa vuota, vuota di sentimenti e dove i pochi che ci sono rimasti sono in realtà danneggiati o abbandonati a scopo decorativo più che funzionale. I ricordi appesi come quadri, sono più dei trofei che 'ponti' su ciò che abbiamo vissuto. Le vere pareti non sono di mattoni e cemento, ma sono costituite dal nostro corpo. Siamo noi i veri muri invalicabili, incapaci di vederci dentro, e per questo incapaci di vedere un sentimento come l'amore che come un fantasma si nasconde tra le cose futili del nostro stesso essere.