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HABEMUS PAPAM regia di Nanni Moretti

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kafka62     6½ / 10  06/04/2018 18:56:14Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
A chi insinuasse il sospetto che il penulttimo film di Nanni Moretti sia oltraggioso nei confronti della religione cattolica, che sia lecito scherzare coi fanti ma bisogna lasciare assolutamente stare i santi, è possibile rispondere che il suo protagonista è solo accidentalmente il Papa, ma potrebbe benissimo essere un generale dell'esercito, un primo ministro, un dirigente d'azienda, un allenatore di calcio, o chissà cos'altro ancora. Il vero tema del film è infatti la crisi di un uomo che, sentendosi inadeguato di fronte alle tremende responsabilità che gli sono state messe sulle spalle, fugge da esse (non per codardia, si badi, ma piuttosto per consapevolezza della propria pochezza e rispetto per l'istituzione che è chiamato a servire). E' chiaro che, trattandosi del Papa, l'effetto di una simile fuga (che è proprio letterale: il Papa, in abiti borghesi, esce dal Vaticano e fa perdere le sue tracce tra le strade affollate della capitale) è estremamente paradossale, per non dire surreale. Qualcosa di simile era stato pensato da William Wyler in "Vacanze romane", laddove la principessa si aggirava per Roma in incognito provando per la prima volta l'ebbrezza di una vita libera dalle comode ma opprimenti pastoie dell'alta società. Qui il Papa, interpretato da un tenero Michel Piccoli con l'aria perennemente umile e smarrita, non vive avventure memorabili ma ha modo di frequentare una compagnia di attori che fa riaffiorare il suo amore giovanile per il teatro. Consapevole del rischio di affidare una trama così esile, ancorché insolita, a un solo personaggio, Nanni Moretti gli mette a fianco un deuteragonista, uno psicanalista (interpretato dallo stesso regista) che è un po' l'altra faccia della medaglia (tanto si sente fuori parte e non all'altezza il Papa, tanto è sicuro di sé e spavaldo, al limite della sbruffoneria, il secondo). E siccome il Papa esce inopinatamente dal suo ruolo per mescolarsi, in giacca e cravatta, al bar o in metropolitana, alla gente comune, in base a una accorta legge di pesi e contrappesi il dottore viene costretto dalla sceneggiatura a rimanere prigioniero all'interno delle mura vaticane in compagnia di cardinali e arcivescovi, al fine di salvaguardare il segreto di ciò che è accaduto. E' questo secondo coté della pellicola a riservare i momenti più squisitamente morettiani: i cardinali che ballano al ritmo di una canzone di Mercedes Sosa, il torneo di pallavolo tra porporati. Il risultato è diseguale (oltretutto alcuni personaggi, come la moglie dello psicanalista, sono poco approfonditi), ma stimolante: i cardinali vengono visti come persone qualunque, con i loro tic e le loro passioni (e le loro reazioni in qualche modo infantili, anche, come quando pretendono di conoscere le probabilità di successo che le agenzie di scommesse avevano assegnato loro), e il fatto che sembrino privilegiare lo scopone scientifico alla preghiera li rende anche più simpatici del solito. Certo, lo spirito santo pare non essere troppo di casa a San Pietro, ma lo sguardo di Moretti su questi uomini di chiesa è più affettuoso che dissacrante (anche se ogni tanto fa capolino qualche battuta sul darwinismo o la psicanalisi). Se un limite ha il film, questo sembra risiedere nel finale: l'inaspettata abdicazione proclamata con drammatiche parole davanti ai fedeli riuniti sotto il balcone pontificio ha sì l'effetto di riportare in alto un climax che fino ad allora era stato piuttosto discontinuo e sfilacciato, ma risulta anche essere la soluzione più semplice e veloce per chiudere il film, mostrando una mancanza di verve creativa che, se non inficia più di tanto l'esito di un'opera intelligente e curiosa, sicuramente non le permette di potersi fregiare della qualifica di capolavoro.