amterme63 7½ / 10 31/03/2012 17:32:12 » Rispondi Con "Uno, due, tre" Wilder sviluppa e approfondisce lo stile particolare con cui ha concepito le sue commedie da "L'Appartamento" in poi. Generalizzazione dello stereotipo e ironia cinica la fanno infatti da padrone anche in questo film. Ciò che lo distingue dai precedenti è il ritmo indiavolato, come da fuochi d'artificio, con il quale lo spettatore viene letteralmente preso per mano e fatto entrare in una specie di turbine, da cui ne esce quasi senza fiato. Situazioni, scene, battute si susseguono freneticamente colpendo chi guarda e lasciandolo meravigliato. Wilder quindi con questo film prova a fare il "virtuoso" e senza dubbio ci riesce. Anche oggi questa caratteristica stilistica è il maggior pregio del film, l'aspetto che lo fa apprezzare di più, nonché la parte più divertente. Grande merito va ovviamente all'interpretazione di Cagney. Come detto, anche in questo film Wilder utilizza la forma del "tipo" per modellare i suoi personaggi. L'ambiente sociale è sempre quello della classe media impiegatizia, colonna portante e anima della società del godimento e del consumo "vizioso", visto anche qui come il vero motore della società e non come una piaga morale da combattere. A questo schema molto semplificante, fatto di stereotipi e luoghi comuni, non si sottrae nemmeno il ritratto della parte "antagonista" della società dei consumi, cioè quella comunista, vista come un sistema che produce solo irregimentazione e miseria. Tutto ovviamente è visto in modo semiserio e ironico. Lo scopo è quello di ironizzare sui luoghi comuni; la distorsione comica sta non nel rovesciarli ma nell'accettarli in maniera potenziata, portandoli alle estreme conseguenze (il ridicolo come paradosso della percezione tipizzata del reale). L'ironia è una bestia bizzosa, non sempre ubbidisce ai propri voleri. Così anche in questo film, al di là della visione accondiscente e divertita dei vizi veniali del nostro mondo, sotto traccia viene fuori un ritratto sociale, etico e sentimentale umano davvero sconsolante. Diciamo che regna incontrastato il materialismo, l'opportunismo, il servilismo, la vanità, la superficialità, il carrierismo, l'ipocrisia e la prostituzione. Tutto viene agito per forme e regole prefissate, non per moto interiore del proprio animo. La mira è adeguarsi alle regole traendone il massimo profitto. In questo, comunismo e capitalismo sono uniti, in pratica non c'è differenza fra i due sistemi, i funzionamenti sono i medesimi. Va a finire che a scapitarci di più poi è il sistema capitalistico. L'irregimentazione qui non è imposta dall'alto ma addirittura accettata e ricercata dai sottoposti stessi, nell'ottica del raggiugimento o meglio dell'avvicinamento agli standard materiali con cui la classe dominante rappresenta se stessa (la Coca Cola è uno di questi). La classe dominante stessa, che in "Sabrina" si autorappresentava come una classe attiva e civilizzatrice, adesso appare più come una classe parassita, dedita solo ai vizi e ai piaceri. Se non altro è l'unica che conserva dinamismo, spirito d'iniziativa ed è l'unico aspetto che le assicura il successo. In questo quadro desolante l'unico personaggio che si salva, quello che a cui vanno quasi senza volerlo tutte le simpatie dello spettatore disincantato, è Otto, il giovane comunista. Lui è l'unico che professi un'aspirazione, un ideale, un sentimento vero, profondo e sentito (anche e soprattutto amoroso). La sua resistenza e ribellione sono l'unico sussulto di dignità umana in un mondo popolato da automi tipizzati quasi inanimati. Il cinismo assoluto e "cattivo" di Wilder farà sì che anche lui alla fine ceda, si adegui e che anzi arrivi a guidare il sistema tanto "odiato". Questo sistema basato sul "do ut des", sulla commercializzazione di ogni aspetto della vita umana (compresa quella intima), sull'accettazione e sulla naturalezza di tale stato di fatto, verrà espresso allo scoperto, in maniera diretta, in "Irma la dolce", dove la prostituzione perviene finalmente al suo status implicito di mezzo privilegiato nei rapporti fra uomo e donna, di forma principale con cui la donna esprime il suo ruolo in società.
Lo avrai presto perché me lo sto leggendo proprio in questi giorni. Prima lo leggo in italiano e poi me lo rileggo in francese. Vale la pena rileggerlo due volte. E' uno scritto che va sentito più che letto. A ogni frase bigognerebbe fermarsi e figurarsi interiormente le sensazioni che suggerische, la vita che c'è dietro. Proprio così, perché si sente che non è un esercizio letterario ma il dramma di una vita, l'espressione di un'anima complessa, che sente in maniera profondissima e sublime e ha avuto la grandezza artistica di comunicare tutto l'universo mirabile che si trova dentro. Non so se riescirò a spogliarmi di tutte le frette, le incrostazioni della nostra vita attuale e arrivare al cuore di ciò che viene espresso. Ci proverò. Grazie davvero per il link a "The agony is the ecstasy". Sapevo della sua esistenza, sapeva che era una musica molto profonda e intensa, espressiva nel suo dolore ma non l'avevo mai ascoltata. Mi ha fatto venire in mente questa: http://www.youtube.com/watch?v=mIVWqn1AvAc la conosci?
Dietro “Una stagione” c’è davvero tutta una vita, sia artistica (critica Baudelaire, le proprie poesie, la poesia in genere) sia sociale (critica tutte le istituzioni, la società occidentale) che quella vissuta realmente, soprattutto il brano “Vergine folle” è autobiografico. Tra l’altro vedrai che a un certo punto cita e critica anche il sonetto che avevi postato delle vocali. Poi “arrivare al cuore” come dici tu è forse impossibile. L’opera è tesa tra due forme opposte di violenza espressiva e di rifiuto: la prosa anti-idilliaca e il silenzio radicale, che subito dopo rispetterà smettendo di scrivere. Sì, il pezzo lo avevo già sentito (ottimo). A proposito di Baudelaire, lì Diamanda Galas, se non sbaglio, recita proprio una sua lirica, una delle poesie maledette e condannate. La lettura della Galas è come se ne moltiplicasse ogni verso, interpretando le diverse personalità dell’indemoniato.