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BOOGIE NIGHTS - L'ALTRA HOLLYWOOD regia di Paul Thomas Anderson

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Woodman     8½ / 10  26/12/2013 18:06:23Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Il secondo film di P.T. Anderson, brillantissimo e maturo, è una sorta di ibrido fra più stili cinematografici, non dissimili se considerati nel mero senso figurativo o tecnico. E' il cinema dei grandi maestri americani nati o saliti alla ribalta nel periodo della New Hollywood (Scorsese in primis, come non notarlo: il piano sequenza iniziale ci catapulta da subito nel vorticoso mondo, fatto di amore puro per la settima arte, dell'enfant prodige), che affascina il ventisettenne regista, ambiziosissimo e carico a mille. Un regista che è anche autore, coraggioso e impavido. Anche furbone e presuntuoso, non v'è dubbio. E i difetti maggiori della pellicola emergono proprio come conseguenze dirette dei deliri di onnipotenza del giovane, che corre troppo e certe volte è dimentico dello spessore che tanto si affanna a cercare, concedendosi momenti fini a se stessi o punti fastidiosamente referenziali. Insomma, non ha un briciolo di modestia. Ciò però giova al coinvolgimento: ci regala infatti oltre due ore di cinema stringatissimo, folgorante, fluido, ammaliante, solidissimo. Un film che sul serio riesce ad essere erede dei capolavori scorsesiani. Un pastiche ridondante di cifre e sperimentazioni di riciclo e reinvenzione. Un pittoresco ma non superficiale elaborato visivo che fa sfilare un cast che emerge da piani sequenza furibondi ed euforici. Sì, il cast. Tutti bravissimi. Va riconosciuto anche l'amore nutrito verso i suoi modelli prediletti: Baker Hall, Macy, la sottovalutatissima e misconosciuta Walters, la stupenda Moore, il variopinto Hoffman etc. E se Wahlberg è solo sexy, Reynolds ci regala un grande ritorno. Gustoso davvero.

P.T.A. del resto è un manierista, ma un manierista come poteva esserlo Tintoretto. Non un mediocre copiatore, ma un sagace osservatore e amatore. Come Tintoretto confezionava dipinti "cinematografici", se non teatrali, che studiavano minuziosamente gli effetti tecnici e pittorici, dai chiaroscuri ai tagli, dalle cifre simboliche alla cura plastica dei corpi, P.T.A. confeziona un cinema pittorico che studia minuziosamente gli effetti tecnici e visivi, ma anche le simbologie e i riferimenti veristi (un resoconto, non un'interpretazione: that's the american way), dalle inquadrature stabili al barocchismo coppoliano, dall'amalgama diegetico allo spessore dei personaggi. Tintoretto guardava Tiziano e Raffaello. P.T.A. guarda Scorsese e Altman. Non si rifanno direttamente a loro. Li amano, li amano da morire. Si adoperano perchè il loro insegnamento si perpetui nel corso del tempo. Fedeli ai loro maestri, devoti eterni studenti, emergono rispetto ai colleghi di simile impostazione per via di una maestria e di una padronanza assai sofisticata (ma in tutti i sensi), per classe, intelligenza tecnica, rinnovamento e passione. Con loro Veronese e Tarantino. Tarantino, come Veronese che fece una piccola rivoluzione, sta compiendo una sorta di collage e decoupage stilistico verboso e vuoto, ma ottimamente presentato, ben congegnato e strutturato, moderni corrispondenti degli ottimi segno ed eleganza pittorica del veneziano.
Ma se Tarantino è un epigono confusionario e furbastro, con sprazzi di lucido genio, che ha fatto del furto un'arte populista a breve pietosamente kitsch, P.T.A. è un successore, è un erede.
Quindi lunga vita all'eterno ragazzino prodigio, che al secondo film impronta letture di svariato tipo ad un racconto ricchissimo e sgargiante, con innegabili difetti e debolezze, ma di granitico spessore e impressionante enfasi. Manuale di sceneggiatura non soltanto riciclata e derivativa, sapiente messa in scena con funzione tributaria a un cinema che si vuole far vivere per sempre, risonante tela pollockiana colma di sfarzo e di silenzio.
Nell'inscenare un'ascesa e una decadenza, che convergono ad una sorta di compromesso (= amara rassegnazione ad una vita infausta e a un progresso che pare avere effetti opposti agli intenti), il nostro eroe perde qualche colpo e a volte sembra trascurare aspetti interessanti. Per goderne appieno quindi, è richiesta una concentrazione assoluta. Cinema che non ammette distrazioni. Nessuna pausa.
Se ne esce contenti, soddisfatti, e con puntatine di varie e indefinite sensazioni multicolori. Come se non bastasse, insomma, quell'insopportabile ragazzino è perfino riuscito a trasmetterci un'emozione. Ne basta una, va benissimo, chissà cos'è, ma s'è sentita. L'avete sentita?
Che bello il magico mondo di P.T.A., nevvero?
Pare, per sfoggiare un'ennesima figurazione, un deserto di dune: pulito da ogni sterpaglia, liscio come la superficie della creta torniata, che a sprazzi fa saettare questi rilievi, questi primi piani, che mettono in ombra la superficie piana. Chiudi gli occhi, li riapri, ti accorgi che lo scenario è cambiato, non ci sono posti fissi epr le dune. E così sarà ogni volta. Il suadente zigzagare delle montagnole rappresenta l'alternarsi di emozioni forti, ogni volta diverse, ogni volta fortissime, ogni volta indiscusse protagoniste, scene madri nel momento del ricordo, della rievocazione. Quando avremo esaurito la carica, l'entusiasmo, la sorpresa, il deserto si appiattirà, ma rimarrà quel meraviglioso strato liscio e perfetto.
Al di là di difettini, di emozioni fragili, dimenticabili, di eccessi o quant'altro, si riconosca che tecnicamente "Boogie Nights" è un film PERFETTO.
Pazienza se alla diciottesima visione non sentirò il pugno al cuore delle dune emerse.
Mi basteranno allora solo le immagini, la vibrante intavolata di flash e folgori. Protendiamo all'infinito. All'instancabile. Del resto stiamo parlando di un cinema che vuole essere eterno. Che P.T.A., al solo secondo film, si sia già realizzato in propositi? Cosa si dirà allora di "Magnolia"? Eh eh eh. Il mio 9 e mezzo parla chiaro.

Ah, scelta musicale superba.