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KILLING ZOE regia di Roger Avary

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amterme63     7 / 10  24/06/2011 22:12:09Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Avery guarda ai film degli anni Settanta come ad un modello da far rivivere in pratica così com'erano. Lo schema è lo stesso: un personaggio molto negativo, dalla personalità forte, dai sentimenti e dai modi estremi, contornato da compari/comparse e da alcuni personaggi "positivi", solo per il fatto che hanno un animo più nobile, ma che in quanto ad atti non sono da meno del personaggio "negativo". Da questo modello vengono fuori film pieni di pathos, molto tesi, cupi, su cui grava un'atmosfera di morte, di condanna annunciata, di spirale negativa, di (auto)distruzione.
Altra caratteristica basilare è il fatto che ci si concentra quasi esclusivamente sugli effetti spettacolari della devianza umana. Abbondano quindi scene violente, esplicite, scene descrittive degli stati abnormi e della vita anticonvenziali di questi "eroi" negativi. Perché di eroi si tratta. Anche se spesso nelle vicende il punto di vista è quello del personaggio "buono", il personaggio cattivo riluce e occupa la scena e a lui viene riservata sempre una fine spettacolare che rimane impressa e che in qualche maniera lo "celebra".
Il concentrarsi sull'effetto comporta il fatto che si tralascia tutto il resto: dei personaggi sappiamo poco o niente, soprattutto di quello negativo. La società esterna fa un po' da spettatrice o da semplice sfondo, brilla comunque per l'inazione e per l'influenza quasi nulla sulla storia. Questo porta spesso a sceneggiature caricate e forzate, a volte assurde, dove non mancano coincidenze o casi fortuiti e il finale accomodante.
Tutte queste caratteristiche base dei film anni '70 le ritroviamo pari pari in "Killing Zoe".
Zed è l'apparente protagonista, il carattere "positivo", quello in cui si identifica lo spettatore. Il fatto che sia uno scassinatore non ha importanza, quello che "nobilita" è il fatto che ha buoni sentimenti, rispetta gli altri e usa la violenza solo quando serve, non per gusto e piacere. E' razionale, ma allo stesso tempo "debole", in quanto subisce il fascino dei suoi amici più disinibiti di lui.
Attraverso di lui lo spettatore fa un viaggio nella devianza umana, nella parte scura, distruttiva e violenta, ne prova la vertigine e ne esce fuori alla fine come Dante dall'Inferno.
Tutto questo grazie al personaggio di Eric, il vero protagonista, un autentico angelo del male. Megalomane, drogato, acceccato dalla sete di ricchezza, distrugge e si autodistrugge. La sua filosofia è consumare il massimo dalla vita senza limitazioni, arrivare all'estremo, tutto e subito. Ad aumentarne la perversione gli viene data una chiara omosessualità latente. Si vede lontano un miglio che è innamorato di Zed e che odia le donne che gli ronzano attorno. Molto bravo l'attore che lo impersona, che alterna dolci sguardi e sorrisi (rivolti a Zed), a scatti rabbiosi e a ghigni kubrickiani.
L'unica scena che potrebbe far pensare a Tarantino è quella in cui i malviventi asserragliati in una banca ingannano il tempo raccontando una barzelletta. Questa scena ha un effetto stranissimo. Visto il contesto del film (angosciante e cupo dall'inizio alla fine) stona alquanto e non contribuisce ad alleggerire l'atmosfera e nemmeno a rendere i malviventi più a portata di spettatore. Se ne poteva francamente fare a meno.
Altri difetti sono la lentezza con cui la storia ingrana e l'assurdità di una tale banda di malviventi e di come agiscono (da dilettanti allo sbaraglio).
L'omaggio agli anni '70 è anche formale: sonoro non perfetto, riprese "sporche" e buie, lunghi piani sequenza con riprese cittadine, camera fissa sui personaggi.
Nonostante ciò "Killing Zoe" rimane in tutto e per tutto un film degli anni '90. C'è riflesso tutto il nichilismo, la disperante ricerca di un'evasione dal normale tramite l'estremo, l'accettazione e quasi la ricerca della morte. Lo stesso spirito che è stato tradotto in film da quel capolavoro che è "Crash" di Cronenberg.