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UN GELIDO INVERNO regia di Debra Granik

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jack_torrence     7½ / 10  11/03/2011 02:21:00Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Un film in genuino "stile Sundance", ossia "indie", ma con qualcosa in più.

Un'ottima definizione dello "stile Sundance" - che si attaglia perfettamente a "Un gelido inverno" - è questa: "film che presentano già in partenza un'aria dimessa, una narrazione sottotono, una ricerca di situazioni paradossali o 'freak', in grado talvolta di riempire i vouti della messa in scena, con predilezione di condizioni umane liminari" (R. Menarini, Dieci idee sul cinema americano, 2010: e non si riferiva a questo film, ma al prototipo del cinema "indie".
Come a dire che in America esistono effettivamente, quanto a film """d'autore""", due stili diversi: quello brillantato dei film da Oscar, e quello in tono minore dei film indipendenti. Il che però significa soprattutto una cosa: che le case di produzione lavorano intelligentemente su due fronti, e si coltivano (in maniera molto più pianificata e programmatica di quello che sembra) due spettatori medi diversi, diversificando il prodotto.

Detto questo, qual è la marcia "in più" di questo assai intrigante film molto più che discreto?
Atmosfere ansiogene e rarefatte, sospese; che schiacciano lo spettatore con il peso opprimente di ciò che non viene svelato, non viene detto, rimane ...ai margini dei margini di questa fetta putrida di società marginale, che si ritrova sbattuta sullo schermo. Non contano tanto i fatti quanto i gesti e i volti. Parlano sguardi e tatuaggi, sospetti e paranoie. Gli intrighi devono restare fuori campo, perché ciò che conta far risaltare è altro: un ritratto allusivo di un mondo pauroso, e l'eroismo asciugato di ogni enfasi di questa ragazzina con fegato da vendere.

Usciti dalla sala, viene da pensare che il cuore nero dell'America non sia mai davvero uscito dalla Grande Depressione degli Anni Trenta.
Ma forse non lo è l'intero Occidente, e la società dei consumi è un abbaglio con gli anni - o i giorni - contati.
E allora pensiamo al day after di tutto questo: quel "the road" di McCarthyana memoria. E la paura ci assale: quella vera.
jack_torrence  11/03/2011 02:25:59Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
7 e 1/2 perché il film, pur fascinoso, resta come "autoimploso" nella sua stessa materia, come una "short story" senza l'ausilio di altri racconti a comporre una raccolta, che ci racconti uno spaccato di un'America nascosta, di cui qui vediamo solo un frammento.

(...ma che frammento...)
Invia una mail all'autore del commento kowalsky  11/03/2011 16:04:33Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Ci sono due aspetti terrificanti in questo film, il primo è l'ambiguità dell'appartenenza (al rapporto fraterno, ai parenti, al clan, all'omertà dei nuclei), la seconda è che da questo codice non si sfugge, semmai rischiare la morte pur di ribaltare una situazione a proprio vantaggio (si fa per dire). Io peraltro ho trovato stupendo il personaggio dello zio, un loser in negativo, ma fortemente consapevole del suo fallimento umano e morale