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BARTON FINK regia di Joel Coen, Ethan Coen

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julian     8½ / 10  06/12/2013 16:58:44Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
TUTTO UNO SPOILER.

Realtà e sua rappresentazione.

La telecamera segue una carrucola di una macchina teatrale, fino a calare lo sguardo sul palco da dietro il sipario. E' una programmatica apertura che anticipa ciò di cui si parlerà: il dietro le quinte, il work in progress, in sostanza il lavoro e la sofferenza di un'opera, teatrale o cinematografica.
Barton Fink condivide questo tema metacinematografico con altre due opere recenti, Adaptation e Synecdoche New York, entrambe scritte da Kaufman, ma nonostante le premesse siano uguali, gli esiti finali saranno diversissimi.
Barton Fink inizia placidamente a New York, con uno stampo classico e lineare: Turturro è un regista "per il sociale" e nel teatro vuole fare una cosa "nuova"; la chiamata da Hollywood però è una ghiotta occasione e nel frattempo, come consigliatogli, l'uomo comune può attendere.
L'arrivo a Los Angeles coincide col primo cambio di rotta del film, suggerito da un'onda che si infrange con uno scoglio: l'impatto con Hollywood, in effetti, non è dei più delicati.
La realtà comincia a perdere consistenza, i luoghi incarnano umori e malesseri, le persone rivelano una natura macchiettistica; Barton si perde egli stesso in un soggetto hollywoodiano.
Il secondo brusco cambio si ha dopo la notte con Audrey, quando la telecamera preferisce infilarsi in un tubo di scarico piuttosto che indugiare sul rapporto che si sta consumando sul letto.
Qui il simbolismo infernale, con indizi abbastanza espliciti, sembra piuttosto un primo piano di lettura che i Coen hanno voluto lasciare superficialmente a chi, con arguzia, individuasse in Hollywood la causa di tutti i mali di Barton e del mondo.
Ma per i due fratelli la soluzione non è mai così semplice, perché oltre la componente autobiografica e ironica – nella quale sono specializzati – che qui si amalgama con il già detto simbolismo, ce n'è una metaforica che scava più nel profondo.
La camera dell'Earle Hotel diventa a questo punto una rappresentazione infernale della mente, un buco dentro il quale si è costretti e prigionieri nei momenti peggiori della vita (come può esserlo un periodo di blocco artistico per uno scrittore appena chiamato ad Hollywood), nel quale si è soli con un unico coinquilino, un alter ego diabolico e ingannatore e nel quale l'unico anelito è scappare, verso un luogo paradisiaco che nei momenti bui funga da luce alla fine del tunnel, un'aspirazione per il futuro, una meta a cui tendere. Il pacco è il fardello da portare: pieno dei compromessi, dei sensi di colpa, dei peccati commessi per uscire dall'inferno.
Tutti i riferimenti all'orecchio (Hoterl EARle, Charlie che parla delle sue secrezioni , l'importanza della componente uditiva nell'albergo e in generale altri piccoli accenni) ci suggeriscono che se prendiamo Barton Fink come una somatizzazione delle sensazioni umane forse non siamo molto lontani dalla realtà. I fratelli però, sempre pronti a minimizzare le loro opere e a negarne interpretazioni cervellotiche, confondono consapevolmente le carte, concedendo con difficoltà una lettura univoca.
Viene in mente infatti che Charlie Meadows, ritratto come il diavolo in persona probabilmente con tono ironico, può essere nient'altro che l'uomo comune, eternamente residente in una realtà squallida e avvolta dalle fiamme, come dice lui stesso.
La differenza sta qua: realtà e sua rappresentazione. Teatro e cinema saranno sempre un opaco riflesso del loro oggetto, un simulacro, una tela spenta appesa ad un muro che niente ha a che fare con il paesaggio che l'ha ispirata.
Del resto si può parlare ancora tanto e affastellare parole su questo film, ma credo sia quanto più lontano i Coen vogliano dai loro spettatori, che dovrebbero piuttosto lasciarsi andare, nelle loro intenzioni, alle sollecitazioni sensitive.
Il finale, al solito improvviso e inatteso, che promette come gli altri di essere al centro dei tuoi pensieri nei successivi giorni, continua a farmi pensare insensatamente a La condizione umana di Magritte.