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UN UOMO DA MARCIAPIEDE regia di John Schlesinger

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amterme63     9 / 10  12/02/2008 22:54:12Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Ho trovato questo film molto bello, ben fatto ed emozionante. E’ soprattutto il personaggio di Joe che mi ha incantato con il suo misto di ingenuità, orgoglio di sé, bontà d’animo, voglia di arrivare, bisogno di dare e ricevere affetto, dubbi e incertezze su se stesso. Insomma un tipico ritratto di americano ideale di provincia fine anni ’60 con i suoi pregi e difetti, che si trova ad avere a che fare con la cinica e impietosa società cittadina.
Il personaggio più interessante è però quello di Ratso: rappresenta quello che non è “ideale” per un americano. Infatti è di origine estera, non è muscoloso o bello, non ha grandi ambizioni, vive da parassita ai margini della società. Messo da parte, reagisce utilizzando in maniera volgare e illegale i metodi di sfruttamento e inganno che sono alla base del modo di vivere collettivo. Eppure è proprio lui (un poveraccio, un reietto, uno “straniero”) che riesce ad avere “pietà” di quel giovane ingenuo e sprovveduto di Joe e ad aiutarlo per quel che può. Joe con il suo gran cuore ricambia lo strano sentimento di solidarietà e alla fine si scopre affezionato e legato a Ratso. Nei fatti quindi, questo film afferma un modello alternativo a quello della “famiglia” tradizionale, altrettanto funzionante nel risolvere il principale problema che assilla gli esseri umani, secondo Schlesinger, cioè la solitudine. I tempi non erano però ancora maturi per affermare un tale tipo di legame sociale alternativo e seguendo quindi i canoni di Hollywood, il “novatore” viene fatto morire alla fine, mentre il protagonista mentalmente o a parole ritorna al “modello classico”.
Certamente molta dell’”ipocrisia” che avvelenava i film americani degli anni ’50 non c’è più. Adesso la famiglia non è rappresentata come in crisi; non esiste proprio. Joe viene allevato da una nonna, tra l’altro un po’ stramba; si trova solo ad affrontare il mondo, con i suoi sogni e i suoi miti ormai tramontati. Il mondo viene rappresentato per quello che è, con semplicità e spontaneità, senza nascondere nulla: cinismo, brutture sociali, “deviazioni” sessuali vengono mostrati apertamente. L’ipocrisia stessa e la falsità sono messi in ridicolo. In un mondo così materialista, la gente soffre tantissimo di solitudine, sembra questo il quadro che esce fuori dalle avventure di Joe, l’ennesimo “buono” e ingenuo alla Rousseau che viene traviato e travolto dalla “civiltà” corruttrice.
Oltre alla solitudine, l’altro tema del film è l’eterogeneità dell’istinto amoroso. Nel campo sessuale esistono anche i rapporti fra uomini e uomini, anche se vissuti con estrema pena, imbarazzo e senso di degrado da parte di entrambi i partner (questo era il sentimento più diffuso alla fine degli anni ‘60). La cosa però esiste, è forte e non può essere nascosta. Se per Schlesinger dal punto di vista sessuale i rapporti fra uomini non sono ancora idealmente “fattibili”, lo sono “per fortuna” dal punto di vista affettivo. Quello fra Joe e Ratso non sarà un rapporto omosessuale ma senz’altro è un legame “omoaffettivo”. I due si vogliono bene, non c’è dubbio. In una scena Ratso abbraccia Joe forte e gli posa la testa sul petto come in preda ad un improvviso “raptus”. Anche il finale rafforza questa sensazione. Il tutto fa un film molto partecipato, intenso, emozionante, con dei caratteri ben delineati e che rimangono impressi nel cuore di chi guarda. Almeno io ho avuto questa impressione.