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PAURA E DELIRIO A LAS VEGAS regia di Terry Gilliam

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Lowry     10 / 10  16/06/2005 18:53:13Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Paura e delirio a Las Vegas: quel che resta della Beat Generation e del Sogno Americano.
Uno sguardo malinconico e allucinato verso il presente e il futuro estrapolato e messo su pellicola dall’unico uomo al mondo in grado di farlo:Terry Gilliam.

E’ da poco finita l’era della Beat Generation,nata a SanFransisco e morta presto con l’inizio degli anni 70’. Ciò che ne e’ restato sono gli acidi le droghe e il desiderio di inseguire il “Sogno Americano”. Un giovane giornalista ed il suo avvocato, entrambi con una sfrenata passione per qualsiasi tipo di droga, partono con la loro Chevrolet e con una valigetta zeppa di stupefacenti pronti all’uso, e si dirigono verso LasVegas: capitale dello sbando e del Sogno Americano. Questo, se vogliamo, è tutto ciò che si riesce a raccontare a qualcuno che ci chiedesse di cosa parla questo film. Ma se dietro la macchina da presa troviamo uno tra i più -forse Il più- visionario cineasta contemporaneo, e se la storia è tratta dal romanzo “maledetto” di Hunter S. Thompson “Fear and Leaving in LasVegas”, il concetto di aspettativa non può che immediatamente balzare in alto.
“Paura e delirio a Las Vegas” è un “on the road” intorno al nulla,dove niente e tutto succede, ma anche un viaggio allucinante –e allucinato- dentro la mente umana, nella paranoia e nel delirio, condito da un insano cinismo e da trovate registiche degne di una mente malata quale è quella di Terry Gilliam.
Ma non ci si può certo fermare all’epidermide di questo corpo contorto, che si agita tra suite di alberghi lussuosissime distrutte da forze demoniache, e circhi surreali (ma rigorosamente autentici) dove una strana realtà si mischia all’allucinazione, in una danza di suoni colori e inquadrature a dir poco “stupefacenti”.
E’ guardando più sotto, nel profondo, che si trova la spina dorsale della storia: una vena malinconica e rassegnata, che guarda al futuro e al presente con distacco e sfiducia: “...nessuna spiegazione, nessuna miscela di parole musiche, ricordi poteva toccare la consapevolezza di essere stato là vivo, in quell'angolo di tempo e di mondo, qualunque cosa significasse...” diceva nel 1973 H.S.Thompson nel suo libro.
L’allucinazione si evolve, diventa una contorta lucidità e lascia traspirare la consapevolezza di cosa sia veramente restato di quel grande sogno che era l’America della metà degli anni 60’, e di quel popolo di sognatori così beatamente utopici. Ci si guarda attorno e ci si accorge che si è ridotto tutto ad un paese dei balocchi, frequentato da patetiche famiglie di miliardari -o lavoratori medi che sognano il colpaccio che cambierà la loro vita- e da malati giocatori d’azzardo delle quattro del mattino; un luna-park esiliato nel deserto, vittima di un proibizionismo mascherato da liberalismo, e in guardia a forze armate sole ed abbandonate a se stesse, succubi di falsi moralismi e ostentati pregiudizi.
Ritmo da videoclip, inquadrature esilaranti, fotografia afosa e insana, grasse risate e personaggi da incubo mischiano e aspirano letteralmente in un vortice di eventi questa inedita ed irriconoscibile coppia J.Deep/B.DelToro, a mio avviso unici ed insostituibili attori, che tengono il passo al crescente e rischioso delirio della pellicola, che potrebbe portarli spesso a diventare la caricatura di se stessi, ma la loro mimica e la loro bravura, al contrario convince sempre più col passare dei minuti, che purtroppo arrivano in fretta a finire.
Si resta rapiti (“...come al solito” potremmo dire) davanti alle immagini create da Gilliam,ma non da meno sono le musiche e le scenografie surreali e visionarie a cui fa da collagene una misurata voce fuori campo.
Un ottimo mix nel quale tutto e’ rigorosamente “non” al suo posto e con sequenze indiscutibilmente da storia del cinema. Un cocktail di musiche suoni e immagini,che si ha subito voglia di rivedere. Che provochi dipendenza?